La Lettura, 10 gennaio 2016
Quei 53 postini che raccontano l’Italia in un libro di Ferracuti
Risale al 1999 Attenti al cane di Angelo Ferracuti, costruito con microstorie che l’occhio tra innocente e morboso d’un postino filtra dalle missive. E a quella figura, da lui vissuta in prima persona per «quindici lunghi anni» da portalettere a Fermo, Ferracuti torna con un testo davvero singolare, cui sarebbe far torto catalogandolo come semplice reportage. Perché Andare Camminare Lavorare (da una canzone di Piero Ciampi) si può ben leggere e gustare come volume di 53 racconti di particolare struttura, condotti su una linea che mette in campo almeno due voci: quella dell’autore-narratore, che talora si offre anche con risvolti privati; e quello d’una «guida» rappresentata da un portalettere, categoria tra «i maggiori conoscitori della quotidianità», ogni volta diversa per età o sesso; perché nativa del luogo in cui esercita o emigrante; stabilizzata o precaria; si muova a piedi, in macchina, scooter o bici; operi in un microcosmo e si faccia cento km o quattro traversate di mare; sconosciuta o magari nota come Gianfranco Nerozzi, apprezzato romanziere «di atmosfere psicotiche».
E davvero Ferracuti sembra qui ricalcare un viaggio dantesco dentro realtà ora paradisiache, ora purgatoriali e ora infernali; perché il portalettere non si offre come semplice guida, ma è soprattutto una persona, con una sua storia e un proprio vissuto, ma anche uno stimolatore. Di più: è proprio alla guida che è spettato in questo viaggio il dono di saper «produrre storie», quando tra portalettere e narratore è scattato quel rapporto empatico, «complice e profondo, che mi ha permesso di scrivere questi microcosmi italiani come volevo». Un rapporto altre volte scemato, perché a postini pur «loquaci e assolutamente inseriti nel contesto», fatto di luoghi storicamente o socialmente interessanti, difettava «la capacità di visione e immedesimazione nel corpo sociale, la potenza di penetrazione nei ventri diversi di città e paesi, persino nell’interiorità segreta, misteriosa delle persone». Ciò che significava far «vedere» al narratore quanto in una passata visita aveva soltanto «guardato», «da turista distratto»: come il mercato presso Santa Maria del Fiore a Firenze; o, a Palermo, il Quartiere Ballarò, ove si rende conto che «se non fossi tornato oggi con Sabrina anche questo piccolo pezzo di mondo sarebbe rimasto per me solo una soglia mai varcata veramente, un rimanere al di là di quello che questo posto è davvero, che posso cogliere solo in una infinitesima parte».
È da tale capacità di sguardo condivisa con gli altri portalettere-guide, con cui s’accompagna nel corso delle consegne, e che sono in grado di favorire nuovi incontri, che nascono storie capaci «di cogliere la profondità e la particolarità del luogo». Storie che attraversano l’Italia, dal microcosmo di Chamois in Valle d’Aosta a quello dell’isola di Salina in Sicilia: «l’isola del Postino» – e il riferimento, che torna anche nella visita a Procida, è al film di Troisi, da Il postino di Neruda di Skármeta, che «un po’ è stato l’ispiratore di questo libro, ma anche di un pezzo della mia vita, quando la borsa in spalla l’ho portata anch’io lungo strade cittadine e pure polverose e segrete delle campagne come quelle di quest’isola, e mentre consegnavo ho iniziato a scrivere», nutrendo i suoi racconti delle vite altrui colte da questo speciale «osservatorio sull’umanità».
Un osservatorio puntato sulle venti regioni italiane: dalle altezze di Trepalle, Passo Rolle, Monti Sibillini, Supramonte o l’Aspromonte di San Luca; alle isole geografiche come Lampedusa, La Maddalena, Tremiti, Ventotene, o linguistiche (la terra degli Arbëreshë), e a quelle umane, proprie di certe periferie urbane o zone di confinamento, quali il campo nomadi di Alba, la frontiera di Ventimiglia, i Quartieri Spagnoli di Napoli, Zen 2 di Palermo; ai centri storici (Vigevano, Firenze, Roma, Fermo); a luoghi di fatica come il Sulcis, Mirafiori o il Lingotto o a luoghi deserti, come le terre della transumanza del Molise, «la regione che viene raccontata di meno» o Craco, «il paese fantasma» della Basilicata. Sulle quali Ferracuti apre spesso anche un terzo sguardo, grazie ad autori di quei luoghi, da Pavese a Fenoglio, Calvino, Tomizza, Comisso, Consolo, Alvaro, Guareschi e Don Milani che s’incrociano a Trepalle, così come Pascoli a Matera; o fotografi come Mario Dondero o Tony Vaccaro, senza dimenticare Bianciardi, Biamonti e Mastronardi, grandi amori letterari di Ferracuti, accompagnati da acute toccanti considerazioni umane e critiche.
Racconti nei quali i postini sono autentici personaggi, descritti con accuratezza nel fisico, ma pure nei movimenti e nel loro darsi ai destinatari delle missive, in quello che Giovanni, postino di Alba, definisce «viaggio quotidiano dentro le vite degli altri, vite che entrano dentro la sua come vasi comunicanti». Ciò che consente al narratore di sentirsi appieno uno di quei «viaggiatori curiosi a caccia di cose autentiche», il cui corpo a volte «”sente” prima che i miei occhi» e di stendere una partitura ricca di toni e colori, ora poetici o dolci o anche commossi; ora malinconici per la solidarietà di ieri rimpiazzata dalla crescente solitudine di oggi; spesso indignati di fronte a certe desolazioni umane. Offerta al lettore in quello stile da Ferracuti sempre inseguito: ossia di quella «scrittura francescana, spogliata di ogni orpello, naturale come quella pronunciata ad alta voce».