15 gennaio 2016
L’assassino di Ashley Olsen è un senegalese clandestino: «Abbiamo fatto sesso, poi mi ha cacciato di casa come un cane. Allora le ho ho dato una spinta, è caduta, ha sbattuto la testa. Ma non volevo che morisse»
Ashley Olsen, 35 anni. Americana, studiosa d’arte e di moda, nel 2012 aveva lasciato la Florida e si era trasferita in un appartamentino al civico 5 di via Santa Monaca, centro storico di Firenze. Solare, bionda, bella, sportiva, fidanzata da due anni col pittore Federico Fiorentini, 43 anni. Mercoledì 6 gennaio tra i due ci fu una lite e non si sentirono per tre giorni, poi lui sabato 9 gennaio, non riuscendo a parlarle al telefono, andò dove abitava, suonò una decina di volte al campanello e non avendo risposta si fece consegnare una copia delle chiavi dalla padrona di casa. Trovò Ashley cadavere distesa sul letto, nuda, sul collo piegato in una posizione incongrua, lividi e macabre striature viola. Qualcuno le aveva stretto il collo con le mani, e per finirla aveva usato un oggetto, forse una catenina [tutti i giornali del 10/1].
Ashley non si separava mai dal suo beagle di nome Scout. L’hanno trovato accucciato davanti al corpo della padrona [Michele Bocci, Rep 11/1].
I primi sospetti si erano immediatamente diretti sul fidanzato, il pittore Federico Fiorentini. Ma ben presto si erano affievoliti. La versione dell’uomo era verosimile, così come reggevano gli alibi dei tre giorni durante i quali, dopo il litigio, non aveva più incontrato la ragazza che, dicono gli amici, «amava moltissimo. Non le avrebbe mai fatto niente di male» [M. Ga., Cds 11/1].
A mezzanotte di mercoledì 13 gennaio, per il delitto di Ashley Olsen, è stato fermato Cheik Diaw, senegalese di 27 anni. Clandestino, arrivato in Italia da pochi mesi per raggiungere il fratello, sottoposto a fermo di indiziato di delitto disposto dal pm è stato bloccato in via Andrea del Castagno, nel quartiere di Campo di Marte. È accusato di omicidio volontario aggravato. Ad inchiodare il killer, sono stati gli esami svolti dal laboratorio di genetica dell’ospedale di Careggi dove per tutta la giornata si è lavorato su una traccia biologica trovata sul corpo della vittima. Da quella traccia è stato estratto il Dna dell’omicida, un conoscente della vittima con precedenti per spaccio di droga [Gasperetti, Cds, 14/1; tutti i giornali del 15/1].
L’extracomunitario è stato anche incastrato da una telecamera: è quella di un negozio di fornaio a pochi metri dal portone della palazzina dove viveva la vittima. Nelle immagini si vedono la giovane con il suo carnefice dirigersi verso casa [Menduni, Sta, 14/1].
Cheik Diaw ha confessato, dopo cinque ore d’interrogatorio, d’essere stato lui a provocare la morte di Ashley Olsen, 35 anni, «quell’americana che mi aveva invitato a casa sua dopo aver bevuto e usato cocaina». Come l’ha uccisa? «Facendole sbattere la testa con una superficie dura e soffocandola stringendole il collo con un laccio o una catenina», come sostengono Procura e medico legale, oppure con una spinta che l’ha fatta cadere all’indietro e sbattere la testa sul pavimento senza che il senegalese abbia usato, come lui stesso ha dichiarato, «qualsiasi oggetto per strangolarla»? La versione del senegalese, se confermata, potrebbe aprire le porte a una diversa imputazione da quella di omicidio volontario aggravato. E ieri la difesa, sostenuta dall’avvocato Antonio Voce, ha già fatto capire quale sarà la sua strategia. «Dalle dichiarazioni del mio assistito — spiega Voce — mi sembra che si possa già intravedere non una volontarietà, ma un omicidio preterintenzionale, dove cocaina e alcol hanno avuto un ruolo importante. Tanto è vero che Cheik si è sentito male ed è stato invitato da Ashley ad andare a casa sua». Le indagini della polizia e le analisi del medico legale raccontano un’altra verità. Con testimoni che hanno visto la vittima parlare con Diaw «presumibilmente per acquistare droga» (lui ha detto che Ashley l’ha acquistata da un fantomatico albanese e gliel’ha offerta) e videocamere che hanno filmato la coppia camminare verso la casa di lei. Mille passi, una ventina di minuti. Poi, alle 7.30 l’arrivo nell’appartamento di via Santa Monaca 3, il rapporto sessuale consenziente, il breve litigio fatale e l’aggressione con i colpi inferti alla donna (compatibili, secondo le analisi anch’essi con la morte di Ashley) e lo strangolamento [Gasperetti, Cds, 15/1].
L’americana prima di morire avrebbe formato il numero 11 sul suo cellulare. «Nel disperato tentativo di contattare il 112, 113, o 118 per chiedere aiuto», hanno spiegato gli investigatori. Telefono che poi Cheik avrebbe rubato per estrarne la sim e infilarla nel suo smartphone: un tentativo maldestro di sviare le indagini [Gasperetti, Cds, 15/1].
Ha commesso molti errori l’omicida: ha lasciato un mozzicone di sigaretta e un preservativo nel bagno del monolocale, ha persino usato la sua scheda sim nel telefonino rubato alla vittima per chiamare la fidanzata: «Sono nei casini, ora non posso spiegarti». [Gasperetti, Cds, 15/1; Menduni, Sta, 15/1].
Il racconto del senegalese: «Ero stato prima in un altro locale, il Dolce Zucchero. Poi sono andato in taxi al Montecarla, dove ho visto tre ragazze e ho iniziato a parlare con una di loro, in italiano, ho saputo che si chiamava Ashley. Siamo saliti tutti al piano superiore e c’era anche un altro ragazzo, un albanese, che ha offerto cocaina ad Ashley e lei l’ha passata a me». Tutti sniffano sui tavoli, «poi io mi sono sentito male», racconta ancora Cheick. Ashley mi ha chiesto se volessi essere riportato a casa in taxi». Un’amica, Jade, cerca di dissuadere l’americana, di metterla in guardia, una lite esplode in mezzo alla strada fra le tre e le quattro di notte: «Lascialo perdere, è una brutta persona». Ashley non ci sente. Più tardi torna al Montecarla e ne esce insieme a Cheick. «Siamo arrivati nel suo appartamento e abbiamo consumato ancora la cocaina che lei teneva nel cassetto, fumando anche delle sigarette. Poi lei ha detto di averle finite e mi ha mandato a comprarle. Mi ha dato le chiavi per rientrare. Sono sceso, sono andato in un bar lì vicino, ma ero così fatto che non riuscivo a ritrovare la strada e il portone, ho dovuto chiedere informazioni a delle persone». Cheik torna in casa. «Abbiamo avuto un rapporto sessuale, lei era consenziente. Alla fine ho fumato una sigaretta, ho lasciato il preservativo in bagno e ho gettato il mozzicone nel water. A quel punto lei è diventata nervosa. Ha cominciato a dirmi: vattene via che arriva il mio fidanzato. Mi ha trattato come un cane, mi ha spintonato e mi ha mandato a sbattere contro lo stipite della porta», dice mostrando un livido alla spalla. «Io ho reagito, l’ho colpita con un pugno che l’ha raggiunta alla nuca e lei è caduta. Si è rialzata ed è venuta contro di me, io l’ho spinta e lei è caduta di nuovo all’indietro, battendo la testa». Giura, Cheick, di non averla strangolata, di non aver usato alcun oggetto, un cavo, una fascetta, come invece l’autopsia ha determinato. «Non si rialzava, l’ho presa per il collo per tirarla su, l’ho riportata nel letto del soppalco. Ho preso il suo cellulare che era accanto al mio, ero ubriaco e avevo fatto uso di cocaina, non ho ricordi molto precisi. Non pensavo che morisse, non volevo ucciderla» [Menduni, Sta, 15/1].
Le amiche di Ashley: «Non erano amici, ma si frequentavano, l’abbiamo vista più di una volta fermarsi a parlare, vicino a casa, con quello lì» [Menduni, Sta, 14/1].
Gli amici ricordano Ashley eccentrica e solare, pronta ad aiutare il prossimo e a fidarsi di chiunque [Gasperetti, Cds, 15/1]
Tutti nel quartiere dove viveva la descrivono come una ragazza che «aveva senso dell’umorismo», «la sua gioia era contagiosa», «colpiva il suo sorriso caldo e vivace... chi entrava in contatto con lei ne veniva trasformato» [Nino Cirillo, Mess. 15/.
Per mantenersi a Firenze Ashley faceva la dog sitter e qualche lavoretto precario nel mondo dell’arte, «così affascinata da questa città», ricordano le amiche, da tifare persino per i Bianchi di Santo Spirito nei cruenti scontri del calcio fiorentino [Sapegno, Sta11/1].
La giornata di Ashley: colazione al Volume, muffin al cioccolato e centrifuga di mela, poi un caffé lungo al Mama’s Bakery e la lettura dei giornali. A pranzo quasi sempre al Chiccho di caffè. Quando c’era da far scorrazzare Scout, la cagnolina beagle, lunghi pomeriggi alla Scuderie di Porta romana. Aperitivo rigorosamente al Cabiria, magari dopo una lezione di yoga e prima che le danze iniziassero. Certi giorni Ashely rimaneva anche a casa, a guardare Netflix e a mangiare take away, ma a una certa ora non rinunciava mai a una puntatina al Montecarla, via de’ Bardi, oltre Ponte vecchio, un po’ night club, un po’ locale di tendenza [Nino Cirillo, Mess. 15/1]
Ashley trascorreva le nottate un po’ tutti in tutti i locali di Santo Spirito come Caffè Notte, Lola, Pop Cafè, Cabiria. Spesso non era insieme al fidanzato. «C’è chi descrive Federico come scontroso e talvolta litigioso. Al contrario di lei, sempre molto sorridente, aperta e disposta a fare nuove amicizie. Lui viaggia spesso, e dai suoi viaggi trae ispirazione per le sue opere. Lei invece era una ragazza stravagante, diversa dalle altre, che notavi subito non solo per la sua bellezza, ma anche per la sua esuberanza» [Bocci, repubblica.it 11/1].
Cheik Diaw, 27 anni, «è un bel ragazzo, alto, grosso e ben curato. È arrivato dal Senegal appena quattro mesi fa ma si comporta come se fosse qui da sempre. Suo fratello maggiore Abraham gli ha fatto da nave scuola: ha il permesso di soggiorno da quattro anni, è ben inserito nel mondo notturno. Si definisce manager delle pubbliche relazioni, ma il suo lavoro si traduce nel fare il buttadentro per alcune discoteche d’Oltrarno. Inizia con la distribuzione dei volantini davanti alle università e nei locali frequentati dai ragazzi americani, considerati i clienti più ambiti per via della loro propensione alle sbornie omeriche con relative consumazioni e prosegue con la funzione di Cicerone attraverso la vita notturna di Firenze. Abraham ha già fatto la gavetta in questo settore spesso gestito o affidato a suoi connazionali. Segue i locali più importanti, ha il suo giro. Cheik Diaw invece comincia dai bassifondi, da quei locali che neppure fanno finta di coltivare l’illusione dell’Oltrarno come una specie di rive gauche fiorentina, sono soltanto posti dove italiani e stranieri vanno «perché ci si sfonda a piacimento di tutto», come ha dichiarato un amico di Ashley che almeno ha avuto il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. In soli quattro mesi il ragazzo che su Facebook posta sue fotografie eleganti e pensieri gentili, pray for Paris e We shall overcome, si costruisce una brutta fama. Gli viene rimproverato l’atteggiamento da guascone, una certa aggressività nel reclutamento notturno, scatti di ira nei confronti della nutrita concorrenza e talvolta non solo della concorrenza, una tendenza all’eccesso su basi quotidiane. “Pallone gonfiato”, “arrogante”» [Imarisio, Cds 15/1]
Ashley era ancora viva quando Cheick Diaw è uscito da casa sua: « Era sul letto, si lamentava perché stava male. Io me ne sono andato» [Menduni, Sta, 15/1].
Ieri mattina il padre di Ashley, che vive a Firenze, e la madre e la sorella arrivati dagli Usa, hanno visitato la camera ardente allestita alle nuove cappelle del commiato a Careggi. Il funerale si svolgerà oggi alle 15 nella basilica di Santo Spirito a Firenze [Gasperetti, Cds 15/1]