la Repubblica, 11 gennaio 2016
De Gregori ora fa solo quello che gli va. «Con 40 anni di carriera alle spalle non devo più dimostrare niente a nessuno»
C’è qualcosa di nuovo nel viso saggio e maturo di Francesco De Gregori, come una rinnovata consapevolezza, una serenità che forse anni fa mancava alla sua tavolozza espressiva e che nel denso anno appena passato gli ha forse permesso per la prima volta di lasciarsi andare, di festeggiare i quarant’anni del suo disco più amato,
Rimmel, e anche di scavare liberamente nel mondo di Bob Dylan. «Forse sì, diciamo che sono meno reticente con me stesso» racconta, seduto nella sua luminosa abitazione davanti a un tavolo a colori pastello su cui campeggia un monumentale cofanetto sull’opera dell’amato folksinger. «Il disco dedicato a Dylan è venuto bene, devo ammetterlo, ma non ci ho ragionato più di tanto, ho scelto canzoni meno conosciute che forse tollerano meglio un’intrusione, perché d’intrusione si tratta, e alla fine è percepito come un disco mio».
Dunque qualcosa è davvero cambiato nella sua vita?
«Accetto serenamente l’ingombro di Dylan e dei miei maestri, non devo più dimostrare a nessuno che io sono De Gregori e quindi negare o sminuire certe provenienze. Io convivo con l’ombra di Dylan da sempre, il mio linguaggio era in sintonia col suo perché l’ho sempre studiato. Quando mi dicono: ma tu copiavi Dylan, io rispondo, ma sì certo, come si può non farlo, avevo quindici-sedici anni, volevo fare il cantautore e uscivano a raffica dischi come Bringing it all back home, Higway 61, Blonde on Blonde, tutti hanno preso da lì, anche i Beatles».
Pensando al De Gregori di qualche anno fa sembra strano che festeggi un suo disco.
«Ho 64 anni, faccio questo mestiere da quaranta, tra alti e bassi ma direi in modo soddisfacente e sto ancora qua. La proposta di celebrare
Rimmel è arrivata dal mio manager, da solo non ci avrei pensato, ma ho detto subito sì perché l’ho pensata non come una celebrazione ma come una festa di compleanno, dove invitavo un po’ di amici a fare casino. È stato bello, ammetto che ho percepito un enorme affetto da parte di tutti, anche dai più giovani».
A proposito di amici, chi avrebbe mai immaginato che il “principe” De Gregori potesse essere attratto irresistibilmente da Checco Zalone…
«È vero, è ancora più singolare se pensi che sono io che l’ho cercato, con suo totale stupore. Tempo fa cominciai a chiedere a tutti i baresi che incontravo se lo conoscevano, a un certo punto uno che mi accompagnava in macchina mi disse che aveva il suo telefono. Gli mando un sms: sono un tuo grande ammiratore, sono a Bari, mi piacerebbe che ci incontrassimo. Ma siccome non ero sicuro che fosse il numero vero mi sono firmato Francesco DG. Lui rispose cortesemente ma rimanendo sulle sue, poi ci incontrammo e mi confessò che aveva pensato che fossi Dj Francesco. Insomma è finita che una volta a Bari ho cantato gli “uomini sessuali”… Anche questo dieci anni fa non l’avrei fatto. Ora quello che mi piace, mi piace, quello che non mi piace sono affari miei».
Più libero da vincoli ideologici?
«Se vogliamo chiamarla ideologia… Se intendiamo il fatto che un artista oltre che essere coerente deve sembrare coerente, allora sì, continuo a pensare che un artista “deve” essere coerente ma non “sembrare” coerente per l’idea che gli altri hanno della coerenza. Di questo sì, mi sono liberato. Se una cosa mi diverte la faccio e basta e da questo punto di vista vivo molto meglio».
Tutto questo lascia trasparire una certa soddisfazione per quello che è successo in questi anni.
«Sì, ma senza grondare di autostima, non passo le giornate a gongolarmi per il fatto di essere De Gregori. La soddisfazione vera è sentirmi uno che sta nella musica di oggi, non uno che, avendo scritto canzoni importanti in passato, se ne sta lì fermo. Il passato è importantissimo ma se fosse solo quello non sarei sodisfatto. Invece sento che il mio lavoro appartiene alla contemporaneità, questo mi dà la voglia di rischiare e andare avanti».
Avanti verso dove?
«Beh, il disco su Dylan potrebbe anche essere paralizzante, fare qualcosa dopo non è semplice, ora non mi confronto più solo con me stesso, questo mi spaventa ma per fortuna mi piace lavorare, stare con i musicisti, avere le mani in pasta. E il nuovo arriverà».