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 2016  gennaio 11 Lunedì calendario

Michaël Bodegas, pallanuotista, diventato italiano per giocare alle Olimpiadi

Il tatuaggio sul braccio dice Carpe Diem, Michaël Bodegas ha scelto di marchiarsi con queste parole a 17 anni, ma a 28 sono ancora valide. In un attimo ha cambiato nazione e patria, ha venduto la galleria d’arte e il ristorante che aveva messo in piedi a Marsiglia, ha lasciato la Francia ed è diventato azzurro, tutto per cogliere l’attimo, per andare alle Olimpiadi: «Ora o mai più».
Prima partita degli Europei contro la Germania e prima competizione importante da italiano. Come la vive?
«Ho voglia di dimostrare che ho un posto in questa squadra, nell’Italia, tra amici che stimo molto. Sogno di far vedere quanto valgo in modo che nessuno mi consideri più un intruso».
Fino al 2014 era il capitano della Francia, come si sente davanti ai suoi ex compagni.
«A Belgrado, Francia e Italia sono nello stesso albergo. Li incrocio, mi guardo la tuta ed è tutto strano, quasi imbarazzante. E loro, come è normale, mi prendono in giro. Ho spiegato la mia scelta, sono fratelli: sanno che il livello di questo sport in Italia è diverso e sono felici per me».
Non è una scelta opportunista?
«Io sono nato italiano. Mia nonna è piemontese, di Rivalta Bormida, e poi sono cresciuto a Marsiglia dove ci sono italiani, spagnoli, immigrati di ogni genere. Non ho i confini nella testa. Mi chiamano tutti Mike, all’inglese. Darò tutto per la bandiera italiana, per restituire ciò che mi è stato dato anche se so bene che ci sono persone convinte che io stia rubando il posto».
Ha imparato l’inno?
«So solo Fratelli d’Italia, mi fermo all’inizio per ora, ma non intendo cantare subito: quello sì sarebbe da opportunisti. Ci vuole rispetto, ascolterò a occhi chiusi, imparerò le strofe, il significato... e dovrò meritare il diritto a cantare».
E sentire la Marsigliese in tutti gli stadi e le piscine dopo gli attentati di Parigi che effetto le ha fatto?
«Orgoglio. Tanto, ero scioccato per la tragedia e anche fiero di come ha reagito il mio Paese di origine. Quando prima di Italia-Turchia, in World League, hanno suonato la Marsigliese ho provato un’emozione pazzesca».
Francia-Italia è in pratica la sintesi della rivalità. Dove era durante la finale dei Mondiali di calcio 2006?
«A soffrire per l’ultima partita del dio Zizou. Ovviamente speravo che la Francia vincesse, ma non sono un tifoso di calcio, ero lì per Zidane e forse quella famosa testata è stata un segno. Francia-Italia è sfida continua ma anche tanto terreno comune, per questo ci si stuzzica, io posso fare da ponte».
E se agli Europei di calcio a giugno sarà ancora Italia-Francia?
«Stavolta non posso perdere».
Gli allenamenti del Settebello sono noti per essere un massacro. Regge?
«Per ora sì, ma alla Pro Recco, allenata da Pomilio che in Nazionale è il vice allenatore, mi hanno abituato bene. E devo meritare la fiducia del ct Campagna, non posso proprio permettermi di accusare la fatica».
Perché ha scelto la pallanuoto?
«Da bambino nuotavo, alla fine di un allenamento ho visto arrivare la squadra: hanno piazzato la porta, preso la palla. Non si può stare da soli in una corsia se dall’altra parte si gioca. E l’acqua è il mio elemento, Marsiglia significa mare».
A Marsiglia faceva il gallerista, aveva un ristorante, si occupava di musicisti emergenti. Pentito di aver chiuso ogni attività?
«No, è il momento di concentrarmi sulla pallanuoto, non ho più 20 anni. Questo è un altro capitolo».
Se dovesse commissionare un’opera sulla pallanuoto?
«Io mi occupavo di street art ma per questo sport ci vuole un affresco di Michelangelo e la colonna sonora di Duke Ellington. Tutto nasce dal jazz».
Ora che si dedica solo alla piscina che fa nel tempo libero?
«Leggo libri di psicologia per educare il cervello e compongo musica da pianoforte. Non mi annoio. Quando smetterò, proverò a promuovere questo sport come si deve. Partite in mare, con i concerti. Nella tournée australiana abbiamo giocato a Sydney, tra l’Opera House e l’Harbour Bridge. Questo è il futuro».