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 2016  gennaio 11 Lunedì calendario

Banchieri sull’orlo di una crisi di nervi

Non solo Mario Draghi e Janet Yellen, su cui si concentra l’attenzione di tutti. Nell’universo dei banchieri centrali il presidente della Bce, e la numero uno della Federal Reserve, non saranno gli unici a giocare un ruolo da protagonista in questo 2016 partito sotto il segno dell’incertezza globale. Ci sono altri cinque personaggi che è bene conoscere e seguire. Il leit motiv di tutti è solo uno: controllare l’incerto. 
Il radicale
Il banchiere centrale da tener d’occhio quest’anno è quello che è stato definito dal Financial Times «il radicale». Si tratta di Zhou Xiaochuan, alla guida della People’s Bank of China (Pboc), la banca centrale cinese, che non avrà un compito facile nel 2016. Nato nel 1948, Xiaochuan non è un economista, bensì un ingegnere. Preciso e calcolatore, è il principale autore delle riforme economiche che hanno portato la moneta cinese, il renminbi, a essere incluso nel paniere delle valute di riserva del Fondo monetario internazionale (Fmi) poche settimane fa. Xiaochuan ha inoltre convinto il presidente Xi Jinping a garantire al renminbi la libertà di fluttuazione rispetto al dollaro statunitense, in una mossa considerata epocale dagli analisti.  
E ora sta fronteggiando la seconda fase della correzione del mercato azionario cinese, dopo quella dell’estate 2015. «Bisogna avere pazienza, perché le riforme hanno bisogno di questo – ha detto tre settimane fa —. Noi continueremo a mantenere un elevato livello di liquidità per il mercato finanziario domestico anche nel 2016», ha aggiunto.  
Incurante dei crolli nelle Borse di Shanghai e Shenzhen, Xiaochuan è sicuro che nel lungo periodo, grazie alle riforme strutturali, la Cina tornerà a crescere a un ritmo vicino al 7 per cento. 
Nuova locomotiva
Chi sa come navigare in un mondo senza bussole è Raghuram Rajan, a capo della Reserve Bank of India (Rbi). Nato nel 1963, Rajan è uno dei più brillanti economisti della sua generazione. Dottorato al Massachusetts institute of technology (Mit), capo economista del Fondo monetario internazionale dal 2003 al 2006, docente alla Booth School of Business dell’Università di Chicago, è diventato il numero uno della Rbi nel settembre 2013 con uno scopo preciso: gestire gli squilibri macro-prudenziali dell’India. E lo ha fatto.  
Nel 2013 il sistema bancario indiano aveva tre problemi su tutti: eccesso di liquidità, costi di rifinanziamento nel breve termine troppo elevati, tasso d’inflazione in crescita. Rajan ha prima innalzato il tasso principale, poi quello marginale, infine ha incrementato la vigilanza finanziaria. Il risultato è stato positivo.  
Secondo il Fondo monetario internazionale il tasso di crescita del Pil indiano sarà del 7,5% nell’anno in corso, due decimali in più rispetto al 2015. «Merito delle riforme del sistema finanziario e della politica monetaria lungimirante», ha scritto il Fondo. 
La sfida di Ankara
Una delle poltrone che scottano di più è invece quella di Erdem Basçı, che conduce la banca centrale della Turchia. Più volte il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha cercato di indirizzare la politica monetaria del Paese, raccomandando a Basçı le azioni da fare. Ma il governatore, nato nel 1966, master alla Johns Hopkins University e un dottorato alla Bilkent University, non si è mai fatto condizionare. «Continueremo a monitorare le tensioni finanziarie internazionali e il processo di adozione delle riforme strutturali promesse dal governo – ha detto pochi giorni fa —. Per ora non prevediamo nuovi stimoli, ma anzi una restrizione del credito, per evitare bolle», ha ripetuto Basçı. In sostanza, il contrario di quanto richiesto da Erdogan. Finora ha avuto ragione l’economista, complici le tensioni nel Medio Oriente, che stanno impattando anche sull’economia turca. Ma quanto durerà la convivenza forzata con Erdogan? 
Crisi africane
Complicato, come per Xiaochuan e Basçı, è il compito di Lesetja Kganyago, governatore della South Africa reserve bank (Sarb). Il Paese è praticamente fermo. Il Pil, secondo le stime del Fondo monetario, crescerà dell’1,3% nel 2016, il minor tasso dalla recessione globale del 2009. Oltre a battersi per la modifica dei fattori produttivi del Sudafrica, tramite riforme strutturali, Kganyago sta cercando di arginare il crollo della valuta nazionale, il rand, che è ai minimi storici. Negativa è la visione di JPMorgan: «Il Sudafrica continua la sua caduta e se non ci saranno azioni significative, anche nella politica monetaria, l’economia rallenterà ancora di più». 
Poco indipendente
C’è poi infine chi l’indipendenza, caratteristica principale dei banchieri centrali, non sa cosa sia. È il caso del presidente della banca centrale venezuelana, Nelson Merentes Díaz. Nato nel 1954 a Naiguatá, dopo aver guadagnato un dottorato in matematica all’Università Eötvös Loránd di Budapest, Merentes è stato prima ministro della Scienza, poi delle Finanze sotto la presidenza di Hugo Chávez. Fu proprio El Commandante a nominarlo, nel 2009, al vertice della banca centrale del Venezuela, incarico confermato dal presidente Nicolás Maduro. Incarico solo di facciata, però, dato che è proprio Maduro che detta la linea sui tassi di riferimento. I risultati, nefasti, si vedono. Il tasso d’inflazione ufficiale su base annua, fissato al dicembre 2014 (sic), è del 68,5%, ma quello calcolato dagli analisti di Goldman Sachs e Morgan Stanley ha superato quota 800% nel luglio scorso. L’ultimo commento di Steve Hanke, economista della John Hopkins, dice molto: «Per Merentes non ci sono sfide, solo improbabili miracoli».