La Stampa, 10 gennaio 2016
A Rotterdam c’è un sindaco musulmano
Ahmed Aboutaleb non si sorprende di nulla, dei fattacci di Colonia come delle crepe in Schengen, «siamo in fase di transizione», assicura. È un politico di nuova generazione, il primo sindaco di fede musulmana a guidare una città europea. Viene da una famiglia povera ma è diventato il «piccolo Ban Ki-moon» perché governa un territorio con 174 nazionalità, 19 in meno dell’Onu. La sua ricetta è il rispetto della legge e l’uguaglianza fra cittadini, al punto da dire che «io non rispondo a domande sulla fede perché mi renderebbe diverso». Belle parole, ma a Rotterdam pare funzionare. L’agglomerato ospita mille rifugiati siriani e sta costruendo altri 600 posti. «Offriamo l’integrazione e una possibilità a tutti», assicura il laburista di origine marocchina. La prova? «Andate a vedere se c’è un homeless in giro».
È in carica dal 2009 e, con un sorriso di copertura, assicura «qui io sono il capo!». Pochi municipi europei si vedrebbero con un primo cittadino nato a Beni Sidel, figlio di un imam della provincia orientale del Nador, venuto a vivere sotto il livello del mare a quindici anni. Ora che va per i 55 è indicato persino come possibile sfidante labour alle elezioni del 2017. Ha un senso dei ruoli e dello Stato che in Italia farebbe sobbalzare. «Sono un sindaco e non commento mai l’operato del governo – spiega -. Se mi dicono di ospitare dei rifugiati lo faccio senza esitare, salvo che lo farò con tutti coloro che arrivano, anche quelli che saranno espulsi. Sinché sono qui, saranno protetti».
I 3 livelli dell’integrazione
Aboutaleb punta sull’eguaglianza. «Ci sono tre livelli di integrazione – ha affermato incontrando un gruppo di giornalisti europei nella sala neorinascimentale del comune di Rotterdam – e sono riuniti nell’accettazione dello Stato di diritto basato sulla costituzione e la legge (riformabile ma non negoziabile), i valori diffusi (sui cui si può discutere) e quelli personali».
La forza del sistema olandese, assicura, è l’integrazione attiva. «In Francia – precisa – ti dicono buongiorno, siete francesi, questo è il vostro Paese, fate le vostre scelte e poi chi vive nella banlieue non ha chance». Nella città col più grande porto europeo «col passaporto ti danno un’identità». Così tutti hanno stesse opportunità nello spazio pubblico, argomenta.
Approccio laico
Questo comporta un approccio laico e che la religione resti in casa. «Integrazione non vuol dire che i musulmani diventano cristiani o i cristiani qualcos’altro – concede il sindaco -, implica il rispetto della diversità: nessuno può pensare che, dato il primato della sua fede, le regole per lui possono cambiare». Dopo i fatti di Parigi, Aboutaleb ha voluto un dibattito cittadino. «Ci sono state riunioni – rivela -. Se c’è una crisi va messa in agenda: il confronto rafforza».
Schengen è a rischio e lui scommette che passerà, «perché la gente sa che i confini aperti portano benessere». Accusa l’Europa in modo costruttivo e in un anno ha speso 3 milioni per i migranti. Confessa di capire i governi, come lo svedese e il danese, che per ragioni di politica interna hanno chiuso le frontiere, ma scommette che non durerà. Il guaio vero, ammette, «è che in molti Paesi la gente teme di perdere l’identità». Succede perché «abbiamo creato un’Europa economica senza costruire l’Europa dei cittadini». Questo è il problema che va affrontato. Come? «Considerando tutti davvero uguali, aiutando chi ha bisogno, privatizzando la fede e applicando la legge sino in fondo».