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 2016  gennaio 10 Domenica calendario

Pallavoliste sarde, calciatori grassi, ciclisti pesanti e tanto, tanto vino rosso

Se m’avessero detto solo un anno fa che una partita- chiave della nazionale femminile di pallavolo l’avrebbe decisa il muro di un’alzatrice di Oristano, non ci avrei creduto. Brava Alessia Orro, lo scrivo perché non posso dirlo, sono rimasto senza voce. E se Paola Enogu è così a 17 anni e tira quelle martellate, cosa sarà a 20 quando avrà imparato a difendere un po’ meglio? Sono strane queste ragazze, anche le meno giovani. Sembra che facciano apposta a perdere il quarto set per vincere un quinto da crepacuore. Ma sarà un caso. E sarà un caso che il Carpi vinca con i gol di Pasciuti e Lollo, due di categoria che secondo gli esperti in A non sarebbero mai arrivati. In un pomeriggio casuale, o forse no, rattrista la notizia che Sodinha, a 27 anni appena, dà l’addio al calcio giocato. Per il peso in chili, ma più ancora per quello di cinque operazioni alle ginocchia, e ancora due ne sarebbero servite. Sodinha, diceva Maifredi, è Renato Pozzetto con i piedi di Maradona. Mai giocato in A: Bari, Paganese, Portogruaro, Triestina, un ritorno in Brasile al Cearà in B, poi Brescia e Trapani. Serse Cosmi (l’ispido, il ruvido), che il Trapani allena gli ha scritto una lettera aperta. Un brano: «Ci mancherai Felipe. Mi toccherà sentir elogiare fenomeni di giocatori alti 1.90 e di grande corsa che per guidare o stoppare la palla (sì, la palla) impiegano ben 5 secondi mentre tu lo facevi in meno di uno. Con me hai giocato 213 minuti. Ti giuro, sono stati molto più belli di campionati interi giocati da altri. Un abbraccio».
Da bambino, benché più paffuto che oggettivamente grasso, giocavo solo se portavo io il pallone. Quindi l’addio di Sodinha lo saluto con mestizia affettuosa e solidale (7,5). Mi fa piacere che nella categoria dei fratelli grassi, avrebbe detto Brera, il Giornale abbia ricordato l’alessandrino Fara, specializzato come Sodinha nel dribbling di suola che poi, ai tempi di Zidane, si sarebbe chiamato ruleta. Ma il calciatore più grasso che ricordi è il turco Sukru, inizio anni ‘50, giocò nel Palermo e nella Lazio. Non escludo che la lontananza deformi le proporzioni. Era molto alto, per il periodo, sull’1.90 e credo pesasse un quintale. Aveva un tiro fortissimo. Una domenica doveva calciare un rigore contro il Padova. Romano, il portiere, si tirò da una parte. Meglio che rischiare di essere centrati da una micidiale botta di Sukru. Anche Sukru aveva cominciato da portiere, poi divenne attaccante. Segnò 226 gol in carriera, di cui 32 direttamente dal calcio d’angolo, e 32 sono tanti, segno di tecnica oltre che di potenza. Gli piacevano le auto scoperte, i liquori e le belle donne. A Roma era spesso ospite di re Faruk e questo non favoriva la dieta. Titolo della Gazzetta, ieri: “Ossessione peso”. Il peso, nel ciclismo, sta diventando più segreto del numero di conto corrente, perché è dal rapporto peso-potenza che si può percepire puzzo di doping. Ora vanno molto le diete chetogeniche, basate soltanto sulle proteine. Eliminati i carboidrati, come la pasta, eliminati glucosio e zuccheri. La massa grassa cala rapidamente, ma il corpo si stressa perché sono cambiate le fonti di energia. Pare che molti corridori assumano sonniferi per allontanare i morsi della fame. Fino a 40 anni fa sembravano scheletri a fine stagione. Adesso, già al Giro. Non voglio passare per passatista, ma senza tanti dietologi e preparatori atletici c’è stato un bel ciclismo, meno scientifico e più umano. Alfredo Binda vinse con 29’ di vantaggio il Lombardia del 1926 consumando 28 uova, roba che oggi ci proibirebbero nell’arco di tre mesi. Brindo ai bicchierozzi di rosso bevuti da Bartali e Nencini, seguiti da un paio di sigarette, e allo Champagne che al Tour Fezzardi e Fornoni si facevano portare in camera di nascosto da Albani, raccomandando al cameriere di segnarli nel conto finale alla voce “supplément filet”, e funzionò finché Albani non s’insospettì per questi supplementi notturni di carne, dopo che a cena i gregari aveano mangiato come un plotone di alpini. Brindo anche alla notizia arrivata dall’Inghilterra: il vino rosso fa male. Ma come? E il resveratrolo che combatte il colesterolo cattivo, il french paradoxe, la vasodilatazione? Niente da fare, il vino rosso fa male, si consiglia di sostituirlo con una tazza di tè. Ideale, ne convengo, su un’impepata di cozze come su un brasato. Ma non mi preoccupo neanche un po’. Mi preoccupo molto perché di altre sostanze che fanno sicuramente male, come le nanoparticelle di uranio impoverito, trovo pochi riscontri sui giornali. È morto il maresciallo Luciano Cipriani, 47 anni, missioni in Kosovo e Afghanistan, glioblastoma multiforme di quarto grado. La lista dei militari morti per motivi di lavoro si allunga a 323, quelli ammalati di tumore sono 3mila. E lo Stato italiano fa il meno che può, cioè quasi nulla. Ci sono i due marò, si capisce. Ma ci sarebbero, ci sono anche tutti gli altri.