Corriere della Sera, 10 gennaio 2016
L’influenza suina gira ancora
Talvolta si crea più allarme per la minaccia remota di un virus sconosciuto, che non per un pericolo concreto avvertito come più familiare. «Nei giorni scorsi per esempio si è parlato di una variante di virus influenzale H1N1, l’ Eurasian avian-like H1N1 (EAH1N1), che circola nei suini fin dal 1979, perché è stato dimostrato che potrebbe trasmettersi tra gli esseri umani», racconta Stefano Prandoni, pediatra di famiglia e membro della rete internazionale FluTrackers, costituita da volontari dediti alla sorveglianza epidemiologica. «Qualche anno fa il virus ha colpito alcune persone e fatto una vittima in Cina – prosegue —, ma non ci sono stati casi più recenti. Nulla quindi fa pensare che al momento rappresenti un rischio per la salute umana». Piuttosto, ci si dovrebbe preoccupare per il gran ritorno del virus influenzale A(H1N1) responsabile della cosiddetta “pandemia suina” del 2009-2010, archiviata troppo frettolosamente come una bufala. «In quell’occasione, anche a causa di errori di comunicazione da parte delle autorità, passò sotto silenzio la difficile stagione successiva, quella del 2010-2011, in cui l’elevato numero di ricoveri in rianimazione e di vittime si sarebbe potuto evitare con una campagna di vaccinazione più convinta», rimarca Prandoni.
Negli anni successivi il virus non ha mai smesso di circolare, tanto che è sempre stato incluso nei vaccini stagionali, ma nel 2014-2015 è stato protagonista di un’ondata di influenza particolarmente intensa: nella scorsa stagione infatti si è verificato il maggior numero di casi dal 2005, con oltre 6 milioni di italiani messi a letto dall’infezione e più di 650 finiti in rianimazione per polmoniti gravi, 165 dei quali non ce l’hanno fatta.
«Più di 9 casi gravi su 10 non erano vaccinati contro l’influenza – sottolinea Gianni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità –. Né, in questo novero, erano vaccinate le 11 donne in gravidanza, categoria ad alto rischio che dovrebbe essere sempre sottoposta a vaccinazione, una delle quali è deceduta nonostante le cure».
Per l’influenza la stagione 2014-2015 è stata quella della “tempesta perfetta”, soprattutto in Italia: «Il falso allarme che si era scatenato a novembre 2014 sul vaccino Fluad ha ridotto le coperture vaccinali – prosegue Rezza —. Ma a determinare un così grande numero di malati e di casi gravi nei mesi successivi è stato soprattutto il ritorno in grande stile dell’H1N1 “pandemico”, che ha colpito milioni di persone ancora suscettibili. A questo si è aggiunto a fine stagione un altro virus influenzale, di tipo H3N2, leggermente mutato dopo la definizione dei ceppi da includere nei vaccini. Nei confronti di questo, quindi, anche gli anziani vaccinati risultavano meno protetti».
Secondo i dati europei, il ceppo H1N1 pandemico è ancora oggi prevalente: «Circa l’80 per cento dei virus influenzali isolati in Europa sono di ceppo A e di questi circa l’80 per cento sono H1N1 – riferisce Pier Luigi Lopalco, che durante la pandemia era a capo del Programma malattie prevenibili col vaccino del Centro europeo per il controllo delle malattie (ECDC) —. Come già osservato in passato, il ceppo pandemico è certamente più associato degli altri a sindromi di insufficienza respiratoria grave che richiedono il ricovero in rianimazione e il ricorso a terapie molto impegnative».
Il dato è confermato da GIVITI, il progetto che collega le unità di terapia intensiva di 7 Paesi europei, e che solo in Italia raccoglie informazioni da oltre 250 reparti diffusi su tutto il territorio nazionale: «Le rianimazioni rappresentano un osservatorio privilegiato per valutare la gravità di una minaccia emergente», sottolinea Enrico Bertolini, epidemiologo dell’Istituto Mario Negri di Milano, che coordina la rete italiana. «Altri sistemi di sorveglianza sono più esposti a variabili come l’attenzione mediatica a una malattia – aggiunge –, per cui la gente si presenta di più in Pronto Soccorso o dal proprio medico se è spaventata, mentre in terapia intensiva arrivano solo i casi davvero gravi in cui la diagnosi è certa».
Come durante la pandemia e nell’anno successivo, anche nel 2014-2015 i casi di polmonite da H1N1 hanno colpito prevalentemente persone giovani o di mezza età, soprattutto fumatori sovrappeso, magari diabetici o asmatici, che avrebbero dovuto essere vaccinati, ma senza altre condizioni patologiche gravi. Più di un caso su cinque, invece, non presentava alcun fattore di rischio: «Il virus H1N1 sembra essere tornato con maggiore aggressività – continua l’epidemiologo —. Il tasso di mortalità in questi pazienti è infatti maggiore oggi che durante la pandemia, nonostante la prontezza con cui riusciamo a sottoporli a terapie più avanzate».
Nei casi più gravi, infatti, occorre intervenire con un metodo di circolazione extracorporea chiamato ECMO, che garantisce l’ossigenazione del sangue, senza sottoporre i polmoni sofferenti ai traumi di una ventilazione artificiale: «Durante la pandemia del 2009-2010 è stata istituita una Rete nazionale per H1N1 che oggi comprende 16 centri ad alta specializzazione in grado di trasportare i pazienti e sottoporli a questo trattamento», spiega Antonio Pesenti, direttore di Anestesia e Rianimazione all’Azienda ospedaliera San Gerardo di Monza, che coordina il progetto. Con gli anni la Rete H1N1, che serve anche per assistere altre gravi condizioni polmonari, è stata ribattezzata ReSpIRA (Rete Specialistica per l’Insufficienza Respiratoria Acuta): ma il virus H1N1 era in agguato e ha ricominciato a farsi sentire.