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 2016  gennaio 10 Domenica calendario

El Chapo, geloso della serie tv su Escobar, aveva commissionato un film su se stesso

WASHINGTON El Chapo è tornato nella prigione dell’Altiplano, la stessa da dove era fuggito l’11 luglio. Ora le guardie dovranno impedire che evada di nuovo e anche proteggerlo. Visto il personaggio, c’è da giurare che qualcuno spera taccia per sempre, specie se finirà negli Usa.
Il governo messicano ha promesso che manderà avanti la procedura di estradizione, anche se ci vorranno mesi, forse sei, prima che venga eseguita. Nel frattempo i legali le proveranno tutte. E non solo loro. «Vi accorgerete di quello che avete combinato, vi siete infilati in un casino» hanno minacciato i figli del boss via Twitter. Rabbia che starà montando anche per i dettagli – inverificabili – sulle circostanze della cattura.
La procura ha sostenuto che una delle tracce per scovare il boss è arrivata grazie alla sua vanità. Forse geloso del successo avuto dalla serie tv dedicata al grande capo criminale colombiano Escobar, El Chapo ha commissionato un film autobiografico ed avrebbe anche avviato dei contatti, attraverso intermediari, con alcuni attori.
Possibile che una vecchia volpe come lui abbia commesso un errore così incredibile? È una voce messa in giro per intaccare la leggenda di un uomo celebrato dalle ballate popolari? Di storie come questa ne usciranno altre, così come di teorie, comprese quelle di chi pensa a manovre segrete, baratti.
Le autorità rispondono con la loro versione, condivisa in parte anche da alcuni esperti.
Dopo la clamorosa evasione dell’estate attraverso il tunnel, il governo ha schierato migliaia di uomini, soprattutto i 16 mila marines, il «corpo» che gode dell’appoggio incondizionato degli americani. Con loro i reparti speciali della Gendarmeria. Dovevano essere elementi al di sopra dei sospetti.
Lo schieramento ha adottato la tattica del safari e dei battitori, hanno fatto terra bruciata nei santuari narcos, da Sinaloa a Durango, convinti che il boss fosse in qualche villaggio e non in Costa Rica o in Europa. I militari hanno preso di mira i parenti di Guzmán, la moglie Emma Coronel, la madre, l’entourage. Qualche osservatore aggiunge: il boss ha perso qualche colpo, il network di protezione non era più lo stesso, si è affidato a complici, come Orso Ivan Gastellum, detto El Cholo, troppo noti agli inquirenti.
Possibile anche che il cerchio magico attorno al numero uno sia stato violato. Certamente la «battuta» ha funzionato, ha costretto il latitante a nascondersi a Los Mochis, cittadina controllata dai rivali comandati da El Chapito, clan Beltran Leyva.
Il 7 ottobre Guzmán dribbla la cattura scappando lungo un canale a Pueblo Nuevo, la evita ancora quando un elicottero lo avvista, ma con lui ci sono la moglie e due figlie. I militari non intervengono temendo il peggio. Alla fine una segnalazione – per alcuni un tradimento – indirizza le unità in un quartiere di Los Mochis dove è stato visto un mago dei tunnel, forse è lui a preparare una piccola galleria che conduce da una casa fino alla rete fognaria.
Quando all’alba di venerdì i marines danno l’assalto, Guzmán e El Cholo si infilano nel «buco», sbucano da un tombino e rubano un’auto lasciando la scorta a sparare per 40 minuti. I due sono però intercettati e portati dentro un motel a ore, il Doux, in attesa dei rinforzi. Il boss è furioso, insulta i militari: «Siete dei fottuti». Lo trasferiscono all’aeroporto e questa volta gli uomini in divisa non hanno il volto mascherato, precauzione necessaria per evitare le rappresaglie. Un messaggio chiaro al nemico, «non vi temiamo».
Meno tranquilli coloro che hanno da temere se il capo di Sinaloa, una volta negli Usa, decidesse di collaborare. Per questo i cinici aspettano, convinti che El Chapo resterà in Messico. Ha fondi illimitati e complicità, uno scudo di illegalità che non ha salvato l’intoccabile in una storia dove c’è ancora molto da raccontare.