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 2016  gennaio 10 Domenica calendario

I cinesi fanno sparire cinque membri di una casa editrice di Hong Kong

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PECHINO Sembra una versione dei «Dieci piccoli indiani» di Agatha Christie, trasportata a Hong Kong e ambientata in una casa editrice che gestisce una libreria specializzata in saggi controversi, pieni di rivelazioni sulla corruzione nel partito comunista cinese e amori presunti dei leader di Pechino. Cinque tra azionisti, dirigenti editoriali e librai della casa sono scomparsi uno ad uno a partire da ottobre. Le tracce sono molte, portano da Hong Kong alla Cina e fanno pensare a «rapimenti di Stato».
Tutto è cominciato a ottobre, quando nel giro di una settimana si sono persi i contatti con quattro uomini della «Causeway Bay Books»: due si sono persi a Shenzhen, la metropoli cinese giusto al di là del confine con i territori dell’ex colonia britannica di Hong Kong, che dal 1997 è tornata alla Repubblica popolare come territorio ad autonomia speciale. Un terzo è sparito a Dongguan, altra città della provincia meridionale cinese. Il quarto, Gui Minhai, maggiore azionista della casa editrice, era in vacanza in Thailandia e non è più rientrato a Hong Kong, dove stava preparando la pubblicazione di un volume di «rivelazioni» su Xi Jinping, dedicato a ipotetici amori extraconiugali del presidente della Repubblica popolare cinese.
Poi, il 30 dicembre, è svanito il quinto uomo: Lee Bo, chief editor della casa e socio di Gui. E si è aperta la scatola di sospetti, accuse e reazioni diplomatiche. La moglie di Lee è andata alla polizia di Hong Kong a denunciare che il marito era stato probabilmente prelevato da agenti cinesi. Lee Bo aveva poi telefonato dicendo di stare bene, ma parlava in mandarino, mentre con la moglie usa sempre il cantonese (la lingua di Hong Kong): segno che chi gli ha permesso di comunicare conosceva solo il cinese ufficiale e voleva capire bene la conversazione per impedire che fosse passato un messaggio non autorizzato. E poi, ha riferito la signora, il marito non poteva essere andato da solo a Shenzhen nelle braccia degli agenti cinesi, perché aveva lasciato a casa i documenti di espatrio (serve un passaporto per muoversi tra Cina continentale e Hong Kong).
La polizia di Hong Kong si è messa a indagare. L’ipotesi è che Lee Bo e gli altri quattro siano stati presi da agenti cinesi e portati a Shenzhen che è sotto la giurisdizione di Pechino. Un rapimento per aggirare il principio alla base dei rapporti tra Pechino e Hong Kong: «Un Paese due sistemi», che garantisce alla City sistema giudiziario autonomo e libertà di stampa. Così anche il governatore del territorio CY Leung, noto per la sua vicinanza con il potere di Pechino, è intervenuto per dire che la polizia cinese non ha il diritto di operare nell’ex colonia britannica. Il 4 gennaio un altro colpo di scena: la moglie di Lee ha ritirato la denuncia per scomparsa, perché era arrivato un fax nel quale il marito scriveva di essere andato a Shenzhen di propria volontà per «collaborare con certe parti in un’inchiesta che potrebbe prendere diverso tempo». Però a Hong Kong, dove ci sono state manifestazioni contro i tentativi di schiacciare la libertà di stampa e per mesi le strade sono state occupate dagli studenti che chiedono libere elezioni, molti pensano che il fax sia stato scritto da una longa manus cinese. L’inchiesta continua e si è scoperto che durante questi giorni misteriosi, un investitore avrebbe comperato parte della casa editrice.
Lee Bo ha anche passaporto britannico e il ministro degli Esteri di Londra ha chiesto informazioni urgenti. Lo stesso ha fatto l’ambasciata di Stoccolma, perché l’editore Gui Minhai è cittadino svedese. Pechino ha risposto che «le persone in questione sono anzitutto cittadini cinesi», confermando implicitamente che potrebbero trovarsi in mano alla sua polizia.
Le pubblicazioni sul potere cinese della «Causeway Bay Books» sono un misto di rivelazioni, pettegolezzi e supposizioni. Qualche volta anticipano scandali nascosti, altre volte fanno puro gossip. Il libro dietro questo mistero si sarebbe intitolato «Le sei donne di Xi Jinping», anche se secondo le voci si sarebbe concentrato solo su un amore giovanile, precedente al matrimonio del presidente. A Hong Kong c’è libertà di stampa. In un ipotetico processo per diffamazione nell’ex colonia si dovrebbe accertare se le pubblicazioni sono vere o solo fango e quindi forse a Pechino hanno deciso di chiudere la faccenda a modo loro, facendo sparire «cinque piccoli librai».