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 2016  gennaio 09 Sabato calendario

I 98 ospedali italiani dove partorire è un rischio

Correva l’anno 2010 quando Regioni e Governo concordarono che era ora di chiudere i punti nascita che non mettevano al mondo più di 500 bimbi l’anno. Troppo pochi per fare esperienza. Per garantire 24 ore su 24 ostetriche, ginecologi, pediatri ed anestesisti. Sale parto insicure, come hanno sempre dimostrato le statistiche. Ma nell’Italia dei campanilismi di mini-punti nascita ne restano in piedi ancora 98. A censirli è il Comitato percorso nascite nazionale del Ministero delle salute, che ha redatto un mini-dossier per ciascuna regione. Con lo scopo di superare le resistenze alle chiusure che restano forti.
Pochi giorni fa la Presidente della Camera, Laura Boldrini, ha preso carta e penna chiedendo alla Lorenzin di fare il possibile per scongiurare, nelle sue Marche, la chiusura del punto nascita di Fabriano (appena 398 parti). Il record negativo spetta alla Campania, con 19 strutture sotto la soglia minima di sicurezza. Che in realtà, dicono le linee guida internazionali, sarebbe di mille parti l’anno. Asticella che supera meno della metà degli ospedali italiani. Per non parlare di strutture che non vanno oltre qualche decina di parti l’anno.
A Lipari nel 2014 si sono contate appena 13 nascite nel 2014. È un isola, si dirà. Ma gli esperti dicono che in questi casi è molto più sicuro ed economico un sistema di elisoccorso che mantenere in piedi un punto nascita dove, se arriva un caso complicato, non si ha l’esperienza per intervenire in modo adeguato. Sempre che sia disponibile qualche medico di guardia, visto che più piccola è la struttura e meno è garantita la presenza su 24 ore di una equipe sanitaria di base, dicono di dati del Ministero. In Sicilia, dove i punti nascita con meno di 500 parti sono 13, la «guardia medica attiva» è garantita solo in 12 strutture su 56.
Al Nord le cose vanno meglio, ma anche nella efficiente Lombardia, che di strutture dovrebbe chiuderne 8, in 21 punti nascita su 70 non è garantita la presenza del pediatra o del neonatologo per tutta la giornata. In Piemonte, dove le strutture considerate a rischio sono comunque 6, almeno le guardie mediche sono quasi ovunque garantire a qualsiasi ora del giorno e della notte.
I dossier del Ministero mettono il dito anche nell’altra piaga del nostro sistema di assistenza alle mamme in dolce attesa, quello dei parti cesarei. Nel nostro Paese se ne fanno ancora troppi: il 36,7% del totale. Percentuale che sale a quasi il 57% se si partorisce in clinica, forse perché il ricorso al bisturi garantisce rimborsi più ricchi da parte delle regioni. Lo standard, ricordano i documenti ministeriali, dovrebbe essere del 15% di parti cesarei sul totale delle nascite, ma ben poche strutture, quasi nessuna al Sud, rispetta il parametro. E le cose peggiorano nettamente quando si sceglie di partorire in un punto nascita dove di vagiti se ne sentono pochi.