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 2016  gennaio 09 Sabato calendario

La guerra a colpi di decibel al confine tra le due Coree

Scoppia una guerra nella zona demilitarizzata al confine tra le due Coree, ma per fortuna solo a colpi di decibel. Da mezzogiorno di ieri, compleanno del leader Kim Jong-un, i militari sudcoreani fanno i disk-jockey in divisa: scelgono brani di K-pop spesso allusivi e li sparano – assieme a messaggi propagandistici – a tutto volume da grandi altoparlanti che proiettano le loro udibili onde sonore fino a 10 chilometri di giorno e a 24 km di notte all’interno del territorio nordcoreano. Dall’altra parte della frontiera più militarizzata del mondo hanno deciso di rispondere allo stesso modo con attività di contropropaganda.
Verrebbe da dire che la situazione è grave ma non seria, se non ci fosse di mezzo un innesco molto pericoloso di questo conflitto di musiche e parole: il quarto test nucleare effettuato dal regime di Pyongyang, che l’ha definito come la detonazione della sua prima bomba termonucleare. Una rivendicazione ormai sicuramente esagerata, secondo gli esperti che non credono si sia trattato di una bomba H e dubitano anche che il test nucleare possa definirsi un successo. Mentre al Consiglio di sicurezza sono in corso intensi negoziati per stilare una risoluzione che preveda nuove sanzioni internazionali, circa 100mila persone hanno festeggiato a Pyongyang la nuova sfida al mondo.
Intanto l’immediata rappresaglia di Seul a colpi di “Pop-aganda” desta perplessità. «Non si deve abboccare all’amo, si deve essere superiori», ha sibilato il ministro degli Esteri britannico, Philip Hammond – invitando poi esplicitamente Seul a evitare di sparare decibel – in un incontro con i giornalisti sul ponte della portaerei americana a propulsione nucleare USS Ronald Reagan nel porto militare di Yokosuka, a Sud di Tokyo. Hammond è in Giappone con il collega della Difesa Michael Fallon per il secondo summit strategico bilaterale, che si è chiuso con frasi da ironia della storia come «il Giappone apprezza l’intenzione e le azioni del Regno Unito come potenza mondiale» e «apprezzerebbe una maggiore presenza britannica nell’Asia-Pacifico».
Pensare che nella prima metà del secolo scorso l’obiettivo strategico di Tokyo fu quello di eliminare le note di “Rule Britannia” dall’Asia: ci riuscì subito dopo l’entrata in guerra annientando la potenza navale regionale di Londra con l’immediato affondamento della “Prince of Wales” e della “Repulse”. Questa antica potenza è stata ereditata dagli Usa e ieri è toccato al comandante della Settima Flotta, Vice Ammiraglio Joseph Aucoin, sottolineare da Yokosuka di avere intensificato l’attività di monitoraggio della Corea del Nord.
Ora una partita cruciale si giocherà tra Stati Uniti e Cina, dopo che il segretario di Stato Kerry ha fatto forti pressioni su Pechino perché la smetta con il “business as usual” con Pyongyang. La complicazione maggiore rischia però di essere provocata dalla Camera Usa, intenzionata a votare a breve una legge di portata extraterritoriale che rafforzerà le sanzioni unilaterali americane contro ogni entità estera che faccia affari con Pyongyang. Se le banche cinesi dovessero essere colpite da misure punitive negli Usa, è probabile che Pechino non starebbe a guardare: potrebbe introdurre misure di ritorsione contro società americane, con conseguenze sui mercati finanziari ben maggiori di quelle (contenute) manifestatesi dopo l’ultimo test nucleare.
La stessa amministrazione Obama sembra guardare con apprensione quanto intende combinare un fin troppo combattivo schieramento di parlamentari bipartisan: preferirebbe pressare i cinesi in altro modo, ad esempio facendo loro capire che l’inerzia provocherà un forte accrescimento del dispositivo militare strategico Usa nella penisola (come già richiesto da Seul) e in prospettiva l’accelerazione di programmi di difesa missilistica regionale. D’altra parte, se il governo sudcoreano si mostra intenzionato a non chiudere la zona industriale mista di Kaesong che porta tanti benefici al Nord, non appare troppo coerente la richiesta a Pechino di fare da leader nel mettere economicamente alle corde Pyongyang.