Corriere della Sera, 9 gennaio 2016
Perché Don Matteo fa 10 milioni di telespettatori
«Comincio fermamente a credere che ci sia l’ombra di Bud Spencer alle mie spalle come nume tutelare». Terence Hill ha ragione di scherzare, con una battuta affettuosa nei confronti del suo antico compagno d’avventura, all’indomani dello straordinario successo del suo «Don Matteo»: la prima puntata della decima serie del prete detective ha esordito l’altra sera su Rai 1 con 9 milioni 677 mila spettatori (33,87% di share) nel primo episodio, e 8 milioni 657 mila spettatori (37,44% di share) nel secondo. Con un particolare gradimento da parte del pubblico giovanile.
«Sono convinto – spiega il protagonista – che proprio il successo che ebbero i film con Bud, i western comici, divertenti che arrivavano al pubblico dopo tanti western violenti di cui la gente era stufa, abbiano costituito un supporto per Don Matteo. Sì – precisa l’attore – perché quei film continuano a essere trasmessi in tv e la gente continua a seguirli: tanti spettatori appassionati di quel genere di spaghetti-western, che magari guardano Don Matteo con la bocca storta, me lo perdonano e lo accettano».
E l’ingresso di Belén, un valore aggiunto? «Ha dato un’ottima prova. Oltreché bella è una donna intelligente e preparata: anche se non ha molta esperienza da attrice, non poteva interpretare meglio di come ha fatto il suo ruolo commovente. E infatti il pubblico non ne è rimasto deluso».
Ascolti da capogiro che hanno staccato di diverse misure tutti i programmi concorrenti della prima serata. Al decimo anno della fiction prodotta da LuxVide con Rai Fiction c’era da aspettarselo? «No – risponde secco – anzi, ce lo dicevamo sul set... chissà come andrà questa nuova serie, non era per nulla scontato un risultato tanto soddisfacente».
Allora occorrerebbe chiedersi qual è il segreto per cui un personaggio di questo genere non riesca a stancare la platea televisiva, ma continui a riscuotere consensi così ampi: «Non ci sono segreti per la riuscita di un progetto. Se fosse così, sarebbe facile fare qualunque cosa, cinema, tv... E non esistono ricette sicure, efficaci. Forse – aggiunge Terence – il segreto è la felice combinazione di una troupe, tra attori e tecnici, che lavora da anni con grande complicità e soprattutto con energia e gioia».
Energia e gioia: due belle parole che sembrano proprio adatte al personaggio Don Matteo, un sacerdote sempre sorridente, fiducioso, disponibile. «Sì, ma anche l’uomo Terence Hill – dice l’attore – è credente e nella parola “gioia” è insita anche la fede mistica: è la gioia di cui parla Gesù. Una manifestazione di allegria, di letizia che io ho sempre riscontrato nella religione, ma non in Italia». In che senso? «Il cattolicesimo italiano è piuttosto cupo, mette al centro sempre il concetto di “peccato”, di punizione divina... un concetto che mi ha molto meravigliato e che esula totalmente dalla mia idea di fede. In America, dove ho vissuto a lungo, è l’opposto: l’insegnamento del Vangelo è vissuto come qualcosa di gioioso. E io, nel costruire il personaggio di un sacerdote di oggi, mi sono ispirato proprio a questa interpretazione religiosa, cancellando il concetto di peccato da Don Matteo. Forse – aggiunge scherzando – c’è un’attinenza, anche sotto questo profilo, con “Lo chiamavano Trinità”. Insomma, dato il riferimento alla Trinità, forse era destino che prima o poi vestissi l’abito talare!».
Ma Terence Hill non teme che quest’abito diventi un po’ stretto, una gabbia? «Assolutamente no. Gli attori hanno sempre questa paura di essere identificati con un solo personaggio, si sentono menomati, vogliono sempre dimostrare di saper fare altro. Io, al contrario, aspiro a essere identificato col ruolo. Voglio essere Don Matteo».