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 2016  gennaio 08 Venerdì calendario

Berlusconi non può più vincere ma può decidere chi perde

So che i due Giuliano, Ferrara e Urbani, sono il meglio del pensiero e della cultura politica. Però non condivido la loro analisi, al contempo affettuosa e inesorabile, sul Cav. (mai come ora si apprezza questa sintetica definizione). Spiego perché. L’uno, Ferrara, ho scritto sul Foglio un pezzo magistrale, non si capacita come il Cav. abbia potuto stracciare il Patto del Nazareno e non fare un’uscita di scena con la grandeur che si deve a un monumento della politica come lui. Si intuisce che entrambi i Giuliano gli vogliono bene sul serio, e questo umanamente è molto bello. Urbani, sempre sul Foglio, intervistato dall’impeccabile Salvatore Merlo, si lascia sfuggire, dopo un’analisi sofferta, simile a quella di Ferrara, un «non si può guarire da se stessi, né far violenza alla propria natura». Detto da loro per il Cav. sembrerebbe proprio finita. Non lo credo.
L’analisi dei due Giuliano è ineccepibile e parte dal presupposto che il motivo principale per cui il Cav. scese in campo era battere i “comunisti”, costringendo amici e nemici a ristrutturarsi, a riposizionarsi. E in fondo, attraverso Renzi, dicono, lui ha vinto. Non condivido. La sua uscita non potrebbe essere onorevole se avesse un profilo alto borghese, questo mai, deve essere degna della sua discesa in campo, scanzonata e imbarazzante, come si conviene a un parvenu. E lo sarà.
Nel ’94 votai Berlusconi (fu l’unica volta) solo perché, sbagliando, lo considerai un antiazionista. Pur provenendo da una famiglia antifascista (durante il fascismo), anticomunista (durante il catto-comunismo), seppur liberali, sempre considerammo un pericolo gli “azionisti”, che, di riffa o di raffa, nel corso degli anni, pur sciogliendosi, avevano inglobato, nella loro, le altre due chiese. «Consolidamento» lo chiamerebbe Marchionne. Monti, Letta, Renzi, nessuno di loro eletto, stanno gestendo da anni il “Consolidato”, nell’alveo della filosofia politica di costoro.
Nel ’94 mi ero sbagliato sul Cav. ma ora, sono certo di no, l’impolitico Cav. ha capito quello che ai «politici» forse è sfuggito, la Classe Dominante è «azionista», il futuro non è di costoro, e lui è stato un antesignano di questa lotta, prima culturale che politica. Il Cav. fu il primo leader politicamente ed emotivamente scorretto, in questo è stato, vent’anni fa, un uomo di oggi. Ora ha capito.
Sotto l’attuale apparenza dimessa, da frusto gagà datato, con il look di quei vecchi signori che gravitano in tarda età intorno ai Casinò, che amano le canzoni francesi, già vecchie quando loro erano giovani, il Cav. ha ancora un futuro politico. Certo durerà l’espace d’un matin, lui lo sa, beffardo tace, aspetta. Sa che il tempo delle vittorie, delle sconfitte, della politica come vita e sogno, ormai è passato, ma quello di essere determinante no. Lui non può più vincere, neppure partecipare, ma può decidere chi far perdere. Un privilegio raro. In un colpo solo può così chiudere tutti i conti in sospeso, e sono tanti.
Lui non ha più bisogno di un partito, di spin doctor, di programmi politici, di promesse elettorali, di infidi alleati, ha una pistola e una sola cartuccia, sparerà dopo l’apertura delle urne (2017 o 2018 è indifferente), quando si dovrà prendere atto che, secondo le regole dell’Italicum, si va al ballottaggio. I primi della classe saranno arrivati alla fine del primo turno con la bava alla bocca, esausti come Dorando Pietri, groggy come Robert Peterson, dopo l’incontro con Sonny Liston. Uno dei due scomparirà, e sarà per merito del Cav. La sua guardia imperiale, meno del 10% dei votanti, tutti del popolino, seguirà fedelmente le sue indicazioni, quei voti sono più che sufficienti per far perdere chi lui deciderà.
Solo allora, caro Giuliano, caro professor Urbani, il Cav. scomparirà, in una nuvola bianca, alcuni sentiranno odore di zolfo, altri di incenso.