Il Messaggero, 8 gennaio 2016
La vera storia della spia protagonista del film di Spielberg
Un missile dell’antiaerea sovietica aveva appena colpito e tranciato l’ala e la coda dell’U2, l’aereo monoposto da ricognizione sul quale viaggiava il pilota americano Gary Powers. L’apparecchio era in caduta verticale, Powers era intrappolato nel cockpit e tentava disperatamente di liberarsi, e allo stesso tempo sapeva che avrebbe dovuto innescare il dispositivo di autodistruzione per eliminare i segreti militari che aveva a bordo. Aveva solo secondi per agire, e le sue gambe erano intrappolate nella cabina.
L’ultimo film di Steven Spielberg, Il Ponte Delle Spie, rievoca la storia di Gary Powers come un anello della catena di eventi che portò al suo scambio, dopo la cattura e la condanna a 10 anni di reclusione come spia americana, con l’agente sovietico Rudolf Abel, arrestato dalla Cia a New York. Nella storia raccontata da Spielberg, il protagonista non è una delle due spie ma lo sconosciuto avvocato James Donovan che si trovò prima a difendere Abel nel processo che lo condannò a 30 anni di galera, e poi a negoziare lo scambio di tre prigionieri sul ponte Glienicke a Berlino nel febbraio del 1962 (Powers fu rilasciato dai sovietici insieme a Frederic Pryor, arrestato dai Vopos a Berlino Est). Negli ultimi giorni invece la BBC ha riportato alla luce l’intera vicenda del trentenne pilota americano, a partire dal momento fatidico della caduta sopra la città sovietica di Sverdlovsk.
Powers era un veterano della guerra di Corea che dopo il congedo era stato arruolato dalla Cia per pilotare gli U2, le perfette macchine volanti dotate di obiettivi ad alta precisione.
INCIDENTE
La loro esistenza era favoleggiata ma non era mai stata provata fino all’incidente di Sverlovsk, quando una batteria di otto missili S75 Dvina fu lanciata dopo l’avvistamento dei radar. Il primo abbattè uno dei jet MiG – 19 che gli stessi sovietici avevano fatto decollare per intercettare l’U2; un secondo jet cercò di speronare l’aero americano ma fallì l’impatto. Poi ci fu l’esplosione fatale: «Tutto quanto intorno a me, dal cockpit al cielo si tinse di arancione, mentre l’onda d’urto mi stordiva» scrisse anni dopo lo stesso Powers nel suo libro di memorie. Doveva comandare l’espulsione del sedile, ma si rendeva conto che la violenza del lancio gli avrebbe strappato le gambe, bloccate dalla lamiera. Aprì invece la calotta sopra la sua testa: l’aria risucchiò metà del suo corpo fuori dalla fusoliera che precipitava in avvitamento. Lottò per liberarsi dalla maschera di ossigeno, e alla fine riuscì a lanciarsi e ad aprire il paracadute. Nel panico non riuscì a comandare l’esplosione dell’aereo spia e a distruggere i segreti che trasportava.
GUERRA
Il processo alla spia americana fu celebrato con un imponente esposizione mediatica, sullo sfondo di una guerra fredda che cresceva di tono e stava per partorire la crisi dei missili cubani. Ma Powers in qualche modo riuscì a conquistare l’alone dei riflettori, e ad ammorbidire l’ostilità dell’opinione pubblica sovietica nei suoi confronti. Ingenuo e al tempo stesso rigoroso nel suo zelo militare, ammise in aula di essere una spia, fino all’ultima dichiarazione prima della sentenza: «Avete ascoltato tutte le prove e ora dovete decidere la punizione. So di aver commesso un crimine e di averla meritata». La contrizione gli valse una sorta clemenza in Russia: tre anni di detenzione, seguiti da sette di lavori forzati. A casa sua negli Usa invece il suo comportamento fu letto come un tradimento. La stampa e i suoi concittadini non gli perdonavano l’errore nella mancata distruzione dell’aereo e la successiva ammissione di responsabilità. Lo rimproverarono addirittura per non aver ingerito prima della cattura la dose di veleno che aveva in tasca dissimulata all’interno di una moneta da un dollaro d’argento, e che il pilota aveva estratto dalla custodia mentre scendeva dal cielo con il paracadute. Dopo il clamore dello scambio sul ponte Glienicke il ritorno in patria fu accompagnato da polemiche velenose da parte di chi vedeva, nella storia, una resa indecorosa di fronte al nemico comunista. Il Congresso gli offrì la possibilità di riabilitarsi con una audizione pubblica, nella quale fu detto a chiare lettere che il soldato Powers non aveva disubbidito nessuno degli ordini imposti al suo ruolo di agente segreto. Il suicidio non era richiesto ma offerto come opzione. L’ammissione del proprio ruolo di spia non era vietato. I politici gli assegnarono persino un indennizzo di 50.000 dollari per il tempo che aveva passato da prigioniero in Russia. Ma la sua reputazione restò macchiata fino al giorno della morte quando cadde di nuovo dal cielo nel 1977, questa volta senza appello, a bordo di un elicottero che pilotava per conto del servizio metereologico di una rete televisiva.