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 2016  gennaio 08 Venerdì calendario

Il petrolio ai minimi da oltre 11 anni

È stata la volatilità a caratterizzare ieri i mercati del greggio, che continuano ad assistere a un progressivo e rapido indebolimento dei prezzi appesantiti dall’offerta eccessiva. Ieri infatti le quotazioni del petrolio, dopo la caduta registrata mercoledì, hanno accusato violente variazioni nei due sensi. Basti pensare che il Brent ha oscillato tra 32,16 dollari al barile (il minimo da quasi dodici anni) e 33,30 dollari (mercoledì aveva chiuso a quota 34,23; simile andamento per il Wti – il greggio di riferimento per i mercati nordamericani – scambiato ieri in un range compreso tra 32,10 e 34,26 dollari, contro i 33,97 della seduta precedente.
A inizio seduta le quotazioni aveva reagito negativamente alle notizie giunte dalla Cina e relative al nuovo scivolone accusato dalle Borse asiatiche (-7% a Shanghai e a Shenzhen) che ha fatto scattare il secondo blocco delle contrattazioni in una settimana (si veda articolo a pag. 3) e alla decisione della Banca Centrale di svalutare nuovamente lo yuan nei confronti del dollaro. La dinamica dell’economia cinese è di rilevanza cruciale per il mercato del petrolio, poiché il Paese asiatico assorbe circa il 12% della produzione mondiale di greggio ed è il secondo maggior consumatore del comparto alle spalle degli Usa. Quindi un rallentamento cinese implica un calo dei consumi (e quindi dell’import) di greggio tale dal influenzare pesantemente il corsi della materia prima.
La tensione sui mercati con il passare delle ore si è tuttavia gradualmente attenuata dopo la mossa delle autorità cinesi di borsa di sospendere lo stop automatico agli scambi. E il greggio ha recuperato qualcosa. Chiaramente la tensione sui mercati finanziari è solo una delle cause che stanno deprimendo le quotazioni. Da ricordare (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) il settore sconta l’eccesso di offerta: la produzione mondiale è elevatissima, le scorte sono a livelli record e i consumi, sia pur anch’essi elevati, non sono in grado di riportare il mercato verso l’equilibrio. Cosa che potrebbe essere possibile con un accordo per limitare le estrazioni da parte dei Paesi membri dell’Opec con l’appoggio al altri big, Russia su tutti. Un’eventualità del genere tuttavia ora come ora non è ipotizzabile a causa della crescente tensione tra Iran e Arabia Saudita.
Da notare come il mercato non abbia reagito neanche a una notizia, che in altri tempi avrebbe spinto in alto i prezzi, come quella del lancio di una bomba all’idrogeno da parte della Corea del Nord. E lo stesso vale per l’acuirsi della crisi in Libia, dove ieri l’Isis ha preso di mira alcuni importanti siti petroliferi.
La situazione, per quanto riguarda i prezzi, è assai incerta e delicata. Tanto che Bank of America Merrill Lynch ieri ha avvertito che i prezzi del barile rischiano di perdere ancora terreno e di avvicinarsi alla soglia dei 20 dollari al barile.
Questa previsione potrebbe essere eccessivamente negativa. Cio che invece è certo è che i produttori sono sempre più in difficoltà. Dall’inizio dell’anno, quindi in pochissime sedute, le 61 compagnie petrolifere che compongono il Bloomberg world oil index hanno perso complessivamente oltre 100 miliardi di capitalizzazione. Le società che hanno sofferto di più in questi giorni sono la thailandese Ptt, l’americana Apache e la cinese China Petroleum & Chemical Corp. Sempre dal fronte societario ieri l’attenzione è stata catalizzata dalla notizia secondo cui Riad starebbe valutando l’Ipo del colosso la statale Saudi Aramco, il numero uno del settore, che vanta riserve stimate in 261 miliardi di barili, 10 volte quelle dell’americana Exxon Mobil, la maggior compagnia quotata in Borsa.
Altro segnale preoccupante per i produttori, infine, giunge ancora dai mercati finanziari. È infatti in crescita il costo dei Cds (i derivati che fungono come polizza di assicurazione contro il fallimento di una nazione) di alcuni importanti paesi esportatori di petrolio e gas. I Cds a cinque anni sulla Russia ieri sono saliti di 15 punti base a 331 pb (il massimo dall’ottobre 2015), quelli sull’Arabia Saudita (+15 pb a 331) sono ai massimi dall’aprile 2009, quelli sul Qatar (+6 pb a quota 105) sono al top da tre anni.