Il Sole 24 Ore, 8 gennaio 2016
Il debito insostenibile di Pechino
La Cina ha un debito pubblico/Pil poco trasparente ma molto contenuto, tra il 25 e il 50% a seconda del metro di misurazione. E ha un rating sovrano alto, tra doppia “A” e singola “A” dalle principali agenzie di rating, con outlook stabile. Sotto questo profilo, la Cina non fa tremare i polsi ai mercati mondiali. Il debito totale/Pil invece mette paura. Diverso invece è il rapporto tra debito complessivo cinese e Pil, schizzato dal 150% del 2007 al 220% del 2014 e proiettato nel 2015, secondo stime non ufficiali, a quota 282%: un ritmo di crescita che non ha avuto equali in nessun altro Paese al mondo, secondo Standard & Poor’s. Questo squilibrio, sì, preoccupa i mercati, causa l’elevata esposizione debitoria dei privati e delle aziende controllate e possedute dallo Stato.Il basso debito pubblico, tuttavia,diventa un punto di forza non trascurabile in questi tempi di forti turbolenze perché potrà servire da cuscinetto per attutire o assorbire crisi e crolli finanziari.
Che la Cina abbia un basso debito pubblico rispetto al Pil è un dato di fatto. La gamma delle percentuali utilizzate è però molto ampia. Si parte dal dato ufficiale delle autorità cinesi: il debito del governo centrale era stimato in 9.900 miliardi di yuan a fine giugno 2015, pari al 15,1% del Pil. A questo, le agenzie di rating aggiungono i debito degli enti locali che come noto è rilevante: si arriva così, secondo Moody’s a un debito pubblico “generale” sul Pil del 41% nel 2016 dal 33,7% del 2009. S&P’s usa il “debito generale netto” (al netto degli attivi liquidi) proiettato in salita dal 20% del 2015 al 24% nel 2018. Per Fitch, invece, il debito pubblico generale cinese è più vicino al 53,2%. Più alto ancora il “debito pubblico lordo” citato da DBRS al 57% per il 2014 e che comprende le garanzie implicite e le passività fuori-bilancio. «Il gross debt potrebbe salire oltre il 70% per il 2020, nel caso si verificassero forti shock e una crescita economica reale molto al di sotto delle aspettative», ammonisce l’agenzia. Jason Graffam, analista di DBRS, sottolinea che la crescita cinese non dovrebbe rallentare con hard landing, mantenendosi nei prossimi due anni entro una forchetta del 6-6,5% come delineato dall’Fmi. Altri analisti indipendenti, che utilizzano dati alternativi non condivisi da Fitch, vedono invece la Cina tirare il freno fino a calare a un tasso di crescita nei prossimi anni del 4-5%.
Quel che più alimenta l’ansia dei mercati, al di là del rallentamento economico sotto il 6%, è la capacità o meno della Cina di assorbire gli shock. Secondo Michael Taylor, managing director di Moody’s e responsabile dell’analisi del credito nell’area Asia-Pacifico, il debito totale/Pil cinese è salito troppo velocemente dal 2007 ad oggi e dovrà tornare a livelli di maggiore sostenibilità: «La Cina dovrà trovare forme di sostegno all’economia alternative agli investimenti finanziati a debito». Taylor, inoltre, vede un rischio aggiuntivo all’orizzonte, dato dal fatto che il debito delle aziende cinesi(non solo quelle private ma soprattutto quelle possedute dallo Stato) ha raggiunto i livelli troppo elevati rispetto al Pil pro capite del Paese. Per Moody’s, il debito/Pil cinese si è deteriorato molto negli ultimi sette anni e per quanto non è ancora alto tanto quello di Grecia, Portogallo e Irlanda, «tutti questi Paesi hanno visto il loro debito pubblico esplodere rapidamente a causa delle crisi finanziarie» e dunque la Cina potrebbe fare la stessa fine.
Il rischio sistemico della Cina, per S&P’s, potrebbe essere il più alto nel mondo. In un’analisi sulla crescita economica in Cina e sul pericolo di grandi crisi, S&P’s cita il metodo di valutazione del rischio sistemico del Volatility Lab della New York University’s Stern School of Business. In base a questa misurazione (che tiene conto di leva, correlazione, volatilità, crisi di liquidità in uno scenario di stress), il rischio sistemico cinese è stimato a quota 600 miliardi di dollari Usa: «Si tratta della cifra più alta al mondo e doppia rispetto a quella degli Usa». Se poi a questa si aggiunge il peso dello “shadow banking”, un altro fenomeno preoccupante in Cina, allora il rischio sistemico cinese lievita su livelli compresi tra 700 e 800 miliardi di dollari.
Tutti i rating assegnati alla Cina hanno comunque al momento la prospettiva stabile.Il debito pubblico/Pil è molto contenuto e più basso della media dei Paesi con rating equivalente. In secondo luogo, la Cina sta affrontando i suoi squilibri e le situazioni ad alto rischio. Tra le tante riforme è anche in atto quella delle aziende possedute dallo Stato, per aprirle a logiche di mercato. Il debito degli enti locali, cresciuto molto negli ultimi anni e vulnerabile perchè a breve termine, verrà ristrutturato e trasformato in debito a medio-lungo termine con rendimenti più bassi: i nuovi prestiti sono appetibili perchè utilizzabili come collaterale per le operazioni di rifinanziamento presso la PBoC, banca centrale cinese.
Lo stock del credito nel settore finanziario, schizzato dal 77% del Pil nel 2008 a oltre il 200% del Pil nel 2014, verrà ridimensionato con l’introduzione di regole di supervisione e regolamentazione più rigide. E il ricorso a prestiti fuori-bilancio sarà tenuto maggiormente sotto controllo.
Un elemento chiave per stimare l’andamento futuro del debito/Pil è infine il deficit/Pil ma anche su questo indicatore le cifre delle agenzie di rating non sono allineate: segno evidente di mancanza di trasparenza.S&P’s e Fitch per esempio citano nei loro rapporti il deficit della Cina vicino al 2,5%, Moody’s al 2,7% mentre DBRS oscilla tra l’1,9% e il 7,8%, chiamando quest’ultimo deficit “netto aumentato”. S&P’s menziona infine un deficit fiscale persino al 9%.