La Stampa, 8 gennaio 2016
La democrazia e l’inevitabile fallimento degli 007. Per monitorare gli 11mila soggetti radicalizzati francesi servirebbero 264mila agenti
La scia di attentati che, da Parigi a San Bernardino, ha insanguinato l’Occidente quest’anno ha drammaticamente mostrato le falle delle intelligence alle prese con uno Stato islamico che, a fronte di perdite territoriali in Siria e Iraq, ha deciso di portare la guerra in casa nostra. Per quanto i vari attacchi (ieri nella capitale francese in stato di allerta l’ennesima tragedia scampata) abbiano avuto caratteristiche diverse, tutti hanno un punto in comune: gli attentatori erano «noti» all’anti-terrorismo. Ciò ha inevitabilmente provocato una litania di accuse alle varie intelligence, tacciate di incompetenza. Se erano noti, perché non li si è neutralizzati?
Se indubbiamente dietro a ogni attentato c’è un fallimento del sistema, molte delle accuse non tengono conto delle difficoltà a cui gli apparati anti-terrorismo occidentali sono sottoposti. L’esempio della Francia è particolarmente illuminante. Le autorità transalpine hanno catalogato (con la famosa Fiche S) circa 11.000 soggetti considerati «radicalizzati» e potenzialmente pericolosi. Tra essi ci sono gli oltre 1.500 (il numero più alto tra i Paesi europei; gli italiani sono meno di un centinaio) cittadini e residenti d’Oltralpe che hanno raggiunto la Siria per divenire foreign fighters con lo Stato islamico ed altri gruppi jihadisti ma anche migliaia di soggetti il cui coinvolgimento in attività estremiste si limita all’essere attivi sui social media.
«Jihadisti da tastiera»
Va da sé che soggetti con un’esperienza di combattimento meritino un controllo maggiore, ma in certi casi, come a San Bernardino, a compiere un attacco sono soggetti che fino al giorno prima non avevano fatto nulla se non dichiarare il proprio credo jihadista su Facebook o Twitter. Data l’impossibilità di divinare chi tra le migliaia di soggetti affascinati dal miraggio del Califfato compirà il fatidico passo dal «jihadismo da tastiera» alla violenza non vi è altra soluzione che monitorare tutti i potenziali soggetti radicalizzati.
Ma è proprio qui che l’intelligence si scontra con vari muri. Il primo è di natura legale. In una democrazia l’adottare un credo fondamentalista non costituisce un reato (né lo deve costituire, pena un turpe snaturamento delle nostre società). L’anti-terrorismo può monitorare soggetti radicalizzati ma previa autorizzazione giudiziaria. Ma anche ammesso, cosa tutt’altro che facile, che non ci siano ostacoli legali, l’attività di monitoraggio richiede risorse enormi. Ci vogliono, in media, 24 effettivi per controllare quotidianamente un soggetto in ogni suo movimento e comunicazione (8 agenti per 3 turni da 8 ore ciascuno). Nel caso francese, se le autorità transalpine volessero controllare a stretto giro tutti gli 11.000 soggetti radicalizzati avrebbero bisogno di 264.000 agenti. Vista l’impossibilità di disporre di un numero così esorbitante di effettivi, l’anti-terrorismo francese, come ogni altra, deve fare delle scelte dolorose, assegnando effettivi al monitoraggio del sospetto A piuttosto che del sospetto B. In molti casi questa scelta, basata su informazioni di intelligence ma inevitabilmente arbitraria, si conferma corretta (prova ne sono la mezza dozzina di attentati sventati dai francesi negli ultimi 12 mesi). In altri, come drammaticamente visto nei due attentati di Parigi, errata. Ogni critica ai fallimenti delle intelligence non può prescindere da una considerazione di queste dinamiche.
La situazione in Italia
L’anti-terrorismo italiana ha la fortuna di non doversi confrontare coi numeri francesi (o belgi, tedeschi, inglesi…), ma con una scena jihadista ancora embrionale. Aiuta anche il fatto che, al contrario della maggior parte dei Paesi europei, molti dei soggetti in odore di jihadismo non sono cittadini italiani e pertanto possono essere espulsi per motivi di sicurezza nazionale (cosa che le nostre autorità fanno regolarmente). Ma anche da noi si cominciano ad avvertire segnali della crescita di una scena jihadista autoctona, composta di militanti auto-radicalizzati, attivi su Internet e desiderosi di mettersi al servizio del Califfo. Come monitorare e contrastare questa nuova minaccia è la nuova sfida per i nostri 007.