Corriere della Sera, 8 gennaio 2016
Quando si interrompono le relazioni diplomatiche
Capita che qualora due Stati arrivino ai ferri corti, essi richiamino in patria i rispettivi ambasciatori. Mi chiedo (e le chiedo) se ne subisca un contraccolpo l’attività ordinaria delle ambasciate, come quella deputata all’assistenza verso i connazionali caduti in disgrazia. Se ciò avvenisse, non sarebbe un atto di irresponsabilità?
Alessandro Prandi
alessandro.prandi@gmail.com
Caro Prandi,
La tutela dei connazionali è generalmente una competenza consolare. Non sono rari i casi in cui due Paesi interrompono le relazioni diplomatiche, ma continuano a ospitare i rispettivi consolati perché hanno entrambi interesse a evitare che i loro connazionali siano privi di qualsiasi protezione. Prima di parlare dei rapporti dell’Iran con gli Stati sunniti del Golfo converrebbe, comunque, conoscere il testo esatto delle loro comunicazioni ufficiali. Hanno interrotto le relazioni diplomatiche o le hanno sospese? Hanno richiamato gli ambasciatori e i loro collaboratori per consultarli o per lasciare intendere che il dialogo, almeno per ora, deve considerarsi interrotto?
La diplomazia non è un’arte o una scienza. È soltanto una tecnica che come ogni altra tecnica ha bisogno di formule verbali e gesti dimostrativi a cui tutti gli interessati possano fare riferimento. Il «richiamo per consultazione», ad esempio, significa che le istruzioni impartite all’ambasciatore prima della crisi non rispecchiano più la realtà e devono essere aggiornate. Molto spesso queste formule e questi gesti sono diversamente interpretabili.
Nel caso dei rapporti fra i due Paesi le ricordo che la partenza dei diplomatici sauditi da Teheran non è stata voluta dagli iraniani. È stata decisa dal governo di Riad dopo l’incendio della sua ambasciata e di un suo consolato a Mashaad, anche se la polizia iraniana, nel frattempo, aveva promesso che le sedi saudite sarebbero state protette. Si voleva dunque alzare di qualche grado la temperatura della crisi? Chi crede che la decapitazione dello sceicco sciita Al Nimri fosse una deliberata provocazione del governo saudita per lanciare un «devastante siluro» (come lo ha definito Franco Venturini sul Corriere del 3 gennaio) contro i negoziati di Vienna per la soluzione della crisi siriana, potrebbe giungere a questa conclusione. Ma la chiusura dell’ambasciata potrebbe anche essere il picco di una crisi oltre il quale l’Arabia Saudita, dopo avere manifestato la sua collera, non intende spingersi. L’ambiguità in questi casi appartiene alle regole del gioco. Anche la diplomazia è un mercato in cui ciascuna delle due parti nasconde sino all’ultimo minuto il sacrificio che è disposta a fare per evitare la guerra.