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 2016  gennaio 08 Venerdì calendario

Anche gli stranieri fuggono dall’Italia. Non c’è lavoro

L’avevamo immaginata così: una città multietnica, con tutte le contraddizioni che il melting pot porta con sé, con una presenza di cittadini immigrati in perenne ascesa e in progressivo radicamento, indispensabili – con la loro vitalità, i tassi di natalità più alti, le pulsioni dinamiche – per la tenuta socio-economica della città. In parte ci sbagliavamo: la regressione è cominciata tre anni fa, è costante e regolare. Gli stranieri stanno lasciando Torino dopo un decennio di esplosiva ascesa. Erano poco più di 41 mila nel 2011, 133 mila dieci anni più tardi, hanno toccato il culmine nel 2012 (142 mila) e poi hanno cominciato a scendere: due mila in meno ogni anno, regolari come un metronomo.
Il 31 dicembre del 2015 l’Anagrafe ne ha contati 136.262. E ha certificato che a Torino sono residenti 892.276 persone, oltre 6 mila in meno rispetto allo scorso anno. Il segno di quel che sta avvenendo è tutto qui: 6 mila e 400 torinesi in meno di cui 1.800 stranieri. Significa che l’emorragia di cittadini immigrati è doppia rispetto agli italiani, lo spopolamento della città segue percorsi non uniformi, riguarda principalmente chi è più fragile, ha meno reti di sostegno, protezioni, opportunità, strumenti.
Meno giovani, più anziani
C’è chi per superare le difficoltà incontrate negli ultimi anni è tornato in patria e chi, forse più spesso, ha cambiato Paese, lasciando l’Italia diretto là dove crede di potersi costruire un futuro meno precario. La dimostrazione è tutta nei numeri: dei 4 mila stranieri persi da Torino tra il 2013 e il 2015, 3.700 hanno tra trenta e trentanove anni. Sono transfughi da lavoro, arrivati negli anni scorsi a Torino in cerca di occupazione, con la determinazione di rimanere in Italia e poi invece costretti a cambiare aria. Il loro dileguarsi si porta appresso una conseguenza naturale: la riduzione dei nati e dei bambini. I giovani stranieri con meno di 14 anni erano 26.900 nel 2013 e sono 26.221 adesso. In compenso crescono – e non di poco – gli over 60: erano 5.845 nel 2013, sono diventati 6.335 nel 2014 e infine 6.996 alla fine dello scorso anno. Un balzo verticale: oltre mille in più nell’arco di due anni. È uno degli aspetti più evidenti: se finora la popolazione straniera contribuiva si sviluppava principalmente nelle fasce d’età basse – sotto i quarant’anni – ora è proprio lì che cede il passo, mentre aumenta sopra i sessant’anni. L’andamento era esattamente opposto rispetto alla popolazione di nazionalità italiana (che invecchia), ora è esattamente identico.
Le nazionalità
La comunità romena resta di gran lunga la più numerosa. Ma, a dimostrazione che si tratta per lo più di un’emorragia di natura economica, è anche la più erosa: ha perso quasi mille cittadini in un anno (da 54.775 a 53.819), quasi tutti tornati in patria. Se ne sono andati anche cinquecento marocchini e altrettanti peruviani e duecento albanesi. Gli unici in controtendenza sono i cinesi: erano 7.137, ora sono 7.327.

Andrea Rossi

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«La gente ritorna in Romania o emigra verso i Paesi nordici, dove vivono amici, parenti. Emigrano famiglie e singoli, moltissime badanti rientrano». È padre Lucian Rosu, parroco della chiesa ortodossa Santa Croce, in via Accademia Albertina, a raccontare come la comunità romena sta reagendo alla crisi. Una crisi che colpisce tutti allo stesso modo. «Ma i romeni – dice Rosu – non lasciano volentieri l’Italia, il radicamento qui è forte. Ci sono donne che restano qui con i figli mentre il marito lavora in Inghilterra, in Irlanda, in Norvegia, dove ci sarebbe spazio per l’intero nucleo, perché qui ci sono la scuola, gli amici, un ambiente vicino alla nostra cultura. Capita ciò che capitava in passato, quando la famiglia restava in Romania».
Partenze
Il sacerdote che da anni è uno dei riferimenti per la comunità ortodossa riflette: «Mancano le opportunità lavorative e allora, quando non si riesce a pagare l’affitto, non si può più affrontare la vita quotidiana, con sofferenza, le persone si spostano. Molte sono costrette a farlo, anche se i figli sono nati qui e hanno legami forti». La decisione matura dopo molti tentativi. «Penso a una famiglia molto unita, che tiene all’educazione dei figli, uno alle elementari, l’altro alle medie: il padre è un saldatore bravo, la madre faceva la badante. Lui è andato in cassa integrazione, poi ha trovato ancora lavoro durante la costruzione dell’Expo, ma dopo è rimasto disoccupato. Hanno scelto di tornare in Romania, anche se con molto dolore. La loro vita ormai era qui».
Chi rientra non lo fa perché là avrà condizioni favorevoli. «Se troverà lavoro avrà uno stipendio più basso, ma chi è emigrato quasi sempre ha comprato casa o se l’è costruita. E almeno non deve pagare l’affitto. Chi emigra, in genere, ha uno scopo e senso del risparmio».
Identikit
Nel migliaio di romeni che ha lasciato Torino nel 2015 c’è un po’ di tutto. «Badanti – spiega il sacerdote – perché molti torinesi non riescono più a permettersi un aiuto, artigiani che fanno i lavori e non vengono pagati. Poi, tanti operai edili e i metalmeccanici licenziati da piccole e medie aziende. La sola categoria che non ha problemi è quella delle infermiere». Padre Lucian incontra i suoi connazionali in chiesa, ma anche attraverso l’associazione San Lorenzo dei Romeni e il Centro di aiuto alla vita Santa Filotea. «Al Centro diamo assistenza alle madri in difficoltà fino all’anno del bambino, San Lorenzo è in contatto con tantissime famiglie che precipitano in poco tempo nella fascia grigia della povertà. Per fortuna, mentre cresce la crisi, cresce anche la solidarietà. Abbiamo fatto una raccolta di alimenti in parrocchia prima di Natale, per integrare la collaborazione che abbiamo con il Banco Alimentare, la gente ha risposto molto bene. La solidarietà è l’unico modo per non darla vinta alla crisi».
Maria Teresa Martinengo