la Repubblica, 8 gennaio 2016
Il caso di Quarto e la presunzione di innocenza. Vietato gongolare
Anche se la tentazione è irresistibile, fanno malissimo i dirigenti del Pd a gongolare per l’inciampo giudiziario (cose di camorra) di un cinquestelle nel Napoletano. A trasformare ogni indagato in reo, e ogni reo in marchio di infamia per l’area politica di appartenenza, c’è già chi provvede. Per esempio la canea ululante che in rete chiede il capestro per chiunque abbia il nome crocifisso su un giornale, poco importa se per sua colpa o per disavventura o per sbaglio. Imitare quell’umore fetido non è degno di un partito che governa, e dunque vede raddoppiate le proprie responsabilità.
Si capisce che a chi ogni giorno ti dà del criminale non vedi l’ora di rinfacciare ogni minimo sgarro. Poche cose divertono più di un Savonarola interrotto sul suo pulpito, in pieno comizio, da un ufficiale giudiziario. Ma è un terreno, quello, sul quale è meglio non scendere mai, perché produce solo furore e fango. Se è vero – come è vero – che i cinquestelle sono in genere forcaioli, un eccellente maniera per distinguersi è non esserlo. Non basta l’intercettazione di un camorrista che raccomanda di votare un simbolo per accusare quel simbolo di essere mafioso. Non è per fair-play (anche se un po’ di fair-play non guasterebbe), è perché la presunzione di innocenza è un principio costituzionale (articolo 27, comma 2). Chi fa politica non può mai dimenticarlo.