La Stampa, 8 gennaio 2016
Quagliarella e tutti gli altri che non esultano dopo i gol. Ridicoli
Chissà come si sarebbe comportato Gigirriva se avesse fatto gol al Cagliari. O Rivera al Milan, o Bulgarelli al Bologna, o Boniperti alla Juventus. Non lo sapremo mai per la buona ragione che c’è stato un tempo, un lungo tempo, in cui se un giocatore-bandiera scendeva dal pennone era per appendere le scarpe al chiodo, non certo per issarsi su un altro. Oggi che il calcio va di fretta, e più maglie cambia un calciatore più mediazioni il suo agente si guadagna, con il caldo beneplacito quando non la connivenza di troppe società, gli incroci con le ex squadre sono all’ordine del giorno. Si pone dunque, per i moderni pedatori di ventura, il problema dell’atteggiamento da tenere per non mancare di rispetto né alla società del momento, né alla precedente, e possibilmente nemmeno a sé stessi, alle proprie simpatie, ai ricordi belli o brutti che il colore di quelle maglie che ti ritrovi di fronte inevitabilmente evocano. Con una domanda su tutte: come reagisco se mi capita di far gol?
Bomber sentimentale
Da quando è tornato al Torino, dieci anni dopo il fallimento della società che lo aveva cresciuto e poi costretto all’esilio, Fabio Quagliarella ha segnato 18 gol, 12 dei quali a squadre in cui aveva militato. I primi undici li ha, diciamo, celebrati con una esibizione di autocontrollo al limite della compunzione: compreso quello nel derby che rappresentava pur sempre la prima vittoria granata dopo vent’anni. Al dodicesimo, l’altra sera al San Paolo, una volta liberatosi dall’abbraccio dei compagni ha aggiunto un gesto di scuse al pubblico napoletano: che l’ha accolto come meritava, con un coro di fischi anticipatori, temo, di quelli che si beccherà domenica a Torino entrando in campo contro l’Empoli. O meglio, mi auguro, di quelli che si sarebbe beccati se non avesse firmato di suo pugno una lettera di scuse ben diverse da quelle ostentate alla folla. L’ho letta con attenzione, ricavandone il sospetto che questo ragazzo napoletano trapiantato a Torino, poi giramondo per necessità, poi ritrapiantato a Torino e per giunta su entrambe le sponde, sia magari anche nu’ poco para.., ci siamo capiti. Ma sia di natura un sentimentale, cosa che molto mal si concilia con la declinazione attuale di un mestiere come il suo.
Modello Van Persie
Perché come direbbe Lotito in latinorum, est modus in rebus. E Quagliarella a Napoli è indubbiamente andato oltre. Ma ci è andato nella direzione sbagliata, perché tra un’esultanza controllata e una sfrenata non può esserci dubbio sul gusto del momento. Miccoli che fa gol al Lecce e nemmeno leva le braccia al cielo, Matri al Cagliari, Pazzini alla Fiorentina si sono sentiti le loro. Destro che segna alla Roma, scatta come un ossesso verso la curva, si sfila la maglia sotto il nubifragio e per questo si becca una giornata di squalifica perché era diffidato, lui si che è un calciatore vero, e soprattutto un uomo. Professionista magari un po’ meno, ma questi sono dettagli da moralisti tant’è vero che il popolo del web lo ha eletto a idolo. Meglio Van Persie, allora. Prima sfida all’Arsenal con la maglia dello United, Wenger che alla vigilia lo battezza «gunner forever», e lui che segna il gol decisivo e lo festeggia con un giro di campo da invasato. Alla faccia del passato e nel segno del presente. Che c’è di male? E soprattutto, da quando in qua un olandese potrebbe essere un sentimentale?
La miglior colonna sonora del gol rimane l’immortale Esultate dell’Otello verdiano. E sta bene. Ma la strofa successiva recita, l’orgoglio musulmano sepolto è in mar. Andiamoci piano, in tempi come questi. E salviamo il soldato Quagliarella.