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 2016  gennaio 06 Mercoledì calendario

La lobby delle armi si fa bella con Charlton Heston

WASHINGTON Charlton Heston, interprete di Sierra Charriba, Ben Hur, 55 Giorni a Pechino. Ruoli tosti per il testimonial perfetto di chi non delega la difesa ad un altro, alla polizia, allo Stato. «Voglio essere chiaro: una pistola nelle mani di una persona perbene non rappresenta una minaccia eccetto che per una persona cattiva», ha detto una volta, come declamasse uno dei Dieci Comandamenti, altro film che lo ha visto protagonista. Per questo la National rifle association (Nra), la lobby delle armi, lo ha esibito e mandato in giro a fare comizi, spot, discorsi. Un volto noto per un diritto sancito dal secondo emendamento della Costituzione americana, scritta dai Padri fondatori quando c’erano ben altre esigenze.
Sono passati i secoli ma non l’idea, con molte sfumature, di Bibbia e moschetto. Dopo Heston sono arrivati molti altri a difendere con le parole i revolver. Da Chuck Norris a Tom Selleck, da Angelina Jolie a Whoopi Goldberg, non hanno avuto paura di schierarsi al fianco di un partito trasversale che unisce democratici, repubblicani, indipendenti e apolitici. Anzi, certi appassionati non votano neppure e considerano l’establishment parlamentare una sanguisuga. Altri cercano dei distinguo, ammettono che servono dei controlli, ma non rinunciano ad avere nell’armadio una Colt, la Beretta o la copia fedele di un mitra. Qualcuno si chiede se non sia necessario impedire che la Glock finisca nelle mani del criminale, del pazzo, dell’estremista interno o del jihadista. Però, alla fine, scelgono comunque di avere il «ferro». Anche perché ci pensano la cronaca nera e la stessa Nra a tenere viva la tensione.
L’associazione, con i suoi 5 milioni di iscritti, è una macchina formidabile. Dopo ogni strage il numero di chi compra una pistola sale. Nel 2015 acquisti e permessi hanno fatto un balzo del 10% attestandosi a 23,1 milioni di armi vendute. Cresce il timore che la Casa Bianca metta vincoli stretti. E allora Nra e lobbisti si mobilitano con campagne, sostengono che se le vittime di una strage fossero state armate avrebbero potuto evitare il peggio. Slogan da sfida all’Ok Corral che però hanno molta presa sull’opinione pubblica. Lo rivelano i numeri. Nel 2013 l’associazione ha incassato 350 milioni di offerte, un dato ancora più significativo se si pensa che il 90 cento è arrivato da persone che hanno inviato non più di 200 dollari, con una media di 35 a testa. Con mille si ha la tessera a vita.
Il più generoso è stato un esperto di computer, poi ricconi e imprenditori. È davvero un sostegno popolare e non di élite che ha portato, nel 2014, un incremento dei contributi del 50 per cento. E poi il sostegno di chi fabbrica semi automatiche, «shootgun», fondine, zaini, binocoli, ottiche, munizioni.
L’Nra ha investito finanziando programmi per attirare i giovani, assistita da prodotti creati ad hoc per i minori. Poi il sostegno concreto alla politica, circa 81 milioni di dollari in un lungo arco di tempo. Poco rispetto al budget messo a disposizione da altri settori, soldi comunque utili per la causa dell’associazione. Nelle ultime elezioni di medio termine ha speso 12 milioni e il 95 per cento dei candidati appoggiati ha vinto. Ancora. Quarantasei senatori che hanno sempre detto no all’estensione dei controlli hanno ricevuto contributi e 41 di loro erano repubblicani. Il 18 per cento dei lobbisti ufficiali nel periodo 2013-2014 ha ricoperto in passato incarichi di governo. È ovvio, è il business, così va il mondo da queste parti, un fenomeno ben più profondo dell’Nra, abile però nel farsi paladina di quell’America dove girano 300 milioni di armi da fuoco.