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 2016  gennaio 03 Domenica calendario

Perché ci piace guardare su internet la gente che mangia

Persone davanti allo schermo di un computer o di uno smart- phone che guardano un’altra persona mangiare (spesso, ma non sempre, davanti a un altro schermo). Qualcuno l’ha definito una forma di voyeurismo gastronomico, secondo altri è l’ultima frontiera del food porn, la spettacolarizzazione del cibo che è diventata una costante sui social network: il mukbang, letteralmente il «mangiare in onda», è un fenomeno tipicamente sudcoreano che ha attirato l’attenzione dei media, e persino degli studiosi, occidentali.
A colpire non è soltanto l’apparente stranezza di questa moda che spinge i sudcoreani a connettersi a internet per assistere in diretta alla cena di uno sconosciuto, ma anche il fatto che, per molti aspetti, sembra racchiudere in sé la somma di alcune pulsioni umane che spiegano altri fenomeni della rete: da un lato la ricerca di un’intimità, dall’altro il richiamo di quelli che alcuni psicologi ed etologi definiscono gli «stimoli supernormali», una versione esagerata della realtà che ci sembra più attraente della realtà stessa.

È difficile quantificare la diffusione del mukbang, perché la maggior parte dei broadcasting jockey, o BJ, come si fanno chiamare i protagonisti di questo genere di video, sono molti e spesso seguiti da comunità relativamente piccole ma altamente fidelizzate, per giunta in diretta, il che rende complesso tracciare le visualizzazioni.
Secondo l’ultima stima, che però è del 2013, circa 45 mila sudcoreani guarderebbero ogni sera un video di mukbang, ma è probabile che la cifra da allora sia aumentata esponenzialmente, visto che nel frattempo il canale di Lee Chang-hyun, una star del settore, ha raggiunto in media 10 mila spettatori ogni sera e, stando all’agenzia Reuters, nel 2015 risultavano attivi circa 3.500 BJ.
La maggior parte di loro utilizza un servizio di streaming, Afreeca Tv, che permette di ottenere piccole donazioni dai fan in tempo reale. I più bravi ci campano, e anche bene: Park Seo-yeon raccoglie l’equivalente di quasi 8 mila euro ogni mese. Fare il broadcasting jockey dunque è un mestiere reso possibile da un forte coinvolgimento del pubblico, disposto a pagare. Sangyoub Park, un sociologo della Washburn University, nel Kansas, ha studiato a lungo il fenomeno, associandolo soprattutto al numero crescente di sudcoreani che vivono da soli: guardare online le cene degli altri è un modo di esorcizzare la solitudine per chi cena da solo. «Il cibo ha un ruolo fondamentale nella cultura coreana, dove i pasti sono un importante momento di condivisione della gioia e del dolore», racconta a «la Lettura». «Oggi però i sudcoreani stanno perdendo il senso della famiglia. La vita è sempre più frenetica e per chi vive da solo trovare un commensale è difficile. In più c’è una forte pressione sociale, un culto del successo e della bellezza, così il mukbang offre un senso di appartenenza, un quasi-legame. Gli spettatori sentono un rapporto stretto con i BJ». In breve, sono «alla ricerca di un’intimità perduta».
In questo, il mukbang è paragonabile a un’altra tendenza della Rete che ha molto incuriosito gli osservatori esterni: l’Asmr (l’acronimo sta per Autonomous sensory meridian response, risposta autonoma del meridiano sensoriale), ossia il trarre una particolare sensazione di rilassamento ascoltando persone, in genere donne, che sussurrano su YouTube.
I primi a studiare il fenomeno da un punto di vista scientifico sono stati due psicologi della Swansea University, nel Galles: Emma Barratt e Nick Davis. Sebbene molti l’avessero interpretato come una forma di feticismo, i due sono giunti alla conclusione che chi guarda i video Asmr non è mosso da impulsi erotici, bensì dalla ricerca del relax: «Le voci femminili sono preferibili perché più dolci – ci racconta Davis – e del resto è molto comune rivolgersi a internet per appagare le nostre necessità emotive, e questo non vale solo per il sesso ma anche per altre forme di intimità».
Alcuni, aggiunge Barratt, traggono dai video Asmr un generico benessere che si può ottenere guardando altri video rilassanti, però in alcuni casi avvertono «una particolare sensazione di formicolio, che fa dell’Asmr un caso a sé stante», una dinamica che potrebbe essere «legata alla sinestesia», il fenomeno percettivo di contaminazione tra i sensi.
Eppure non è solo di intimità che gli appassionati di mukbang vanno in cerca, dice Park, il sociologo: «È anche una questione di curiosità, di intrattenimento e di appagamento. Il mukbang va inserito in un più ampio contesto di trend culinari sui social network: lo stile, per alcuni versi, è quello del food porn». Basta fare un breve giro su Instagram o su Facebook, infatti, per rendersi conto di come le fotografie di pietanze invitanti spopolino in rete. Spesso le immagini sono talmente perfette e il cibo appare talmente desiderabile da sembrare finto.
La psicologa di Harvard Deirdre Barrett ha ricondotto questa tendenza, nota come food porn, o pornografia gastronomica, alla nostra innata attrazione per gli stimoli supernormali. Il termine food porn, coniato negli anni Ottanta dalla critica femminista Rosalind Coward (con tutt’altro significato, legato alla «servitù» delle donne) nell’era dei social media si è diffuso in chiave semi-ironica per descrivere fotografie di cibo esageratamente accattivanti, volte a «fare sbavare» il pubblico.
L’analogia con il porno, tuttavia, è meno superficiale di quanto non si tenderebbe a pensare: così come la pornografia vera e propria, anche il food porn gioca su una rappresentazione amplificata della realtà. «Ciò che comunemente chiamiamo food porn è una forma di stimolo supernormale: visto che una parte dei nostri istinti sul cibo sono visuali, siamo attratti da immagini che lo facciano sembrare più ricco di quanto non sia in realtà, per esempio esagerandone i colori. Ma anche il cibo fisico dei fast food, che contiene più zuccheri e sale di quanto non esista in natura, sono una forma di stimolo supernormale analoga alla pornografia», dice Barrett a «la Lettura».

Il termine «stimoli supernormali» è stato creato dall’etologo Nikolaas Tinbergen, premio Nobel, per spiegare il comportamento di alcuni animali davanti a copie esagerate della realtà: per esempio uccelli che, messi davanti a uova finte e molto appariscenti, abbandonavano i loro piccoli per covarle. Barrett però li definisce in senso lato come «ciò che genera una reazione istintiva più forte di quanto faccia lo stimolo per cui quell’istinto si è evoluto» e sostiene che spieghino anche un altro fenomeno familiare ai frequentatori dei social network: il proliferare di foto e video di cuccioli, soprattutto gattini, adorabili.
Nel suo saggio Supernormal Stimuli. How Primal Urges Overran Their Evolutionary Purpose la psicologa dedica un capitolo interessante alla nostra percezione del «carino»: ci siamo evoluti in modo tale da amare creature tenere e indifese per proteggere la nostra prole; ma può capitare che ci sciogliamo davanti a un cucciolo di un’altra specie più di quanto non ci capiti con un bimbo. Questo non comporta alcun vantaggio da un punto di vista darwiniano, e al contrario può rivelarsi controproducente, per esempio quando troviamo «carino» un cucciolo di orso o di tigre e avvertiamo l’impulso di accarezzarlo. È lo stesso meccanismo che rende il food porn così attraente: abbiamo sviluppato l’appetito per nutrirci ma alla fine troviamo più desiderabili rappresentazioni «supernormali» del cibo, o pietanze talmente caloriche da non avere corrispettivi in natura. C’è stato un cortocircuito evolutivo, insomma. E tutti quei video con i gattini e la pornografia gastronomica su internet sono un risultato.