la Repubblica, 30 dicembre 2015
Mirna Marini, la donna che veglia sugli aerei di Alitalia
Voliamo su aerei che lei controlla. E che cura quando tornano a casa malati. Grandine, stormi, eruzione vulcaniche? Lei gestisce ferite e guarigioni. E rimette in pista i bestioni dell’aria. Spesso in una notte. È (idealmente) la sorella più grande dell’astronauta Samantha Cristoforetti, solo che lei non vola nello spazio, ma si muove a terra. E non è militare. «Ai miei tempi quella carriera ci era preclusa». Buffo vederla aggirarsi nell’hangar 3, tra tute verdi e bianche, senza il minimo imbarazzo. Come una massaia che al posto della lista della spesa, ha quella dei mezzi meccanici: «Allora vediamo: carrello, portellone, fusoliera. Ho fatto io l’ordinazione per quel trattore che sposta gli aerei, costa 300 mila euro, trascina 300 tonnellate, abbiamo dovuto aspettare quattro mesi per averlo». Non ha l’aria di chi comanda, ma di chi gestisce: 350 collaboratori, tutti uomini, molto specializzati. Per la prima volta la manutenzione della flotta Alitalia, circa 120 aeroplani, è affidata ad una donna. Ad una signora bionda, 44 anni, mamma di una bimba, laureata in ingegneria aeronautica (con una tesi sperimentale sugli endoreattori). Si chiama Mirna Marini, è di Roma, ma con origini abruzzesi (Cagnano di Amiterno), sposata, con una bimba, e due gatte (Lea e Bea). Capita anche questo in Italia, che una donna che non si definisce diversa, ma solo appassionata di manualità e di razionalità, abbia un ruolo finora destinato agli uomini, anche all’estero. Guai a definirla una predestinata.
«Vengo da una famiglia normale, papà operario, madre casalinga, già da piccola adoravo la matematica, alle elementari ho finito subito il programma e così ho concluso anche quello della prima media. Se c’era da fare un tema invece piangevo. Ero una fan di Carlo Rubbia, mi incuriosiva la fusione nucleare, volevo diventare direttore di una centrale. Dopo lo scientifico mi sono iscritta a ingegneria, vivendo fuori Roma, mi svegliavo alle quattro di mattina per arrivare presto e trovare posto in aula. Il mio sogno non era volare, ma lavorare alla meccanica del volo. Dopo la laurea ho inviato il mio curriculum a quattro aziende, mi hanno risposto in tre. Nemmeno il tempo di fare le vacanze e mi sono subito trovata occupata».
Sceglie una realtà non lontana da casa, che tratta ultraleggeri.
«Tanti stimoli, molta responsabilità, leggevo negli occhi degli altri una perplessità: che ci fa qui questa bambinetta?».
Nel ’98 entra in Alitalia, supera cinque selezioni, è assunta nella direzione tecnica. Due anni più tardi, nel 2000, è responsabile della programmazione della manutenzione lungo raggio, con 130 collaboratori. Nel 2006 passa in Air One come responsabile degli acquisti di materiale aeronautico, ruolo che mantiene nel 2009 quando rientra in Alitalia dopo l’integrazione tra le due compagnie. Nel 2012 diventa responsabile della logistica dei materiali, da ottobre 2015 si occupa della manutenzione di base della flotta. Spiegazione del suo lavoro:
«Ogni aereo da programma deve fare un tagliando dopo tot ore di volo, in genere quest’attività viene svolta nelle ore diurne, poi c’è la manutenzione operativa, legata magari a un’avaria non riparabile “in linea”, ossia in pista, spesso è una riparazione strutturale sulla lamiera. Non c’è solo l’usura, gli aerei vengono anche danneggiati da stormi, grandinate o ad esempio dalle ceneri vulcaniche, vedi eruzione dell’Etna. Allora bisogna chiamare gli specialisti, molto più che infermieri, quelli che fanno le Tac, vedere se ci sono lesioni, ma anche garantire rapidità del lavoro. Oggi si vola molto più di una volta, abbiamo tre cicli di lavoro, operiamo anche di notte, in modo da poter garantire il rientro in attività dell’aeromobile».
Mirna gestisce figure professionali importanti, capisquadra, capireparto. Possibile mai una difficoltà?
«Forse la prima volta che sono arrivata. Tutti mi portavano un problema. Come a dire: tocca a te, sei il capo, vediamo se sei così brava a risolvere questo. Sono stati i sei mesi più duri della mia vita. Questo è un lavoro di squadra, bisogna utilizzare l’abilità di chi ha le competenze, non sostituirsi a chi ha il sapere. Arrivano le tute bianche, gli specialisti della video-endoscopia, sistema digitale di monitoraggio, rivela quello che all’interno del motore o della lamiera è invisibile all’occhio umano, poi c’è l’endoscopia flessibile, con apparecchi termografici. È una strumentazione molto sofisticata: ce la richiedono anche per check-up sull’arte, dai Bronzi di Riace ad alcuni manufatti etruschi».
L’unica cosa che non riesce a sistemare è il tempo.
«È sempre troppo poco e gli impegni troppo densi. Anche perché In Italia devi essere sempre sul posto. Io invece spero in un cambiamento di approccio e di mentalità alla cultura del lavoro. Un’organizzazione può funzionare bene se tutti sono responsabilizzati e non delegittimati a decidere».