la Repubblica, 30 dicembre 2015
Il vecchio, caro Das conteneva amianto
Ci hanno giocato i bambini di quarant’anni fa. Con il “vecchio” Das si facevano vasetti e pupazzi, le maestre raccomandavano di portarlo anche a scuola magari prima del Natale per costruire in classe le statuine del presepe. Lo usavano gli artigiani, i restauratori e gli insegnanti nei laboratori degli istituti d’arte. Nessuno immaginava di maneggiare un prodotto potenzialmente a rischio, nessuno poteva pensare che quella polvere grigia, creativa e divertente, potesse nascondere un’insidia. “Tutti scultori con Das” annunciava trionfale la pubblicità sulla scatola della “creta senza cottura”. E invece: «Dagli anni Novanta sappiamo che il vecchio Das conteneva amianto bianco, ma ora siamo in grado di conoscere meglio alcune fasi della produzione», dice Stefano Silvestri, ricercatore dell’Ispo, l’Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica che assieme alla Asl e all’Università di Firenze, ha firmato una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Scandinavian Journal of Work Environment and Health. Precisiamo subito che il Das oggetto dello studio toscano non ha nulla a che vedere con quello che si trova ora in commercio prodotto dalla Fila (Fabbrica Italiana Lapis ed Affini) «sicuro e conforme alle normative»: porta soltanto lo stesso nome dell’altro. Dal 1976 nella lista degli ingredienti sono scomparse le fibre di amianto, sostituite da una innocua cellulosa e dal 1993 la fabbrica che lo produceva, la Adica Pongo, di Lastra a Signa, vicino a Firenze, ha chiuso per sempre. Così i ricercatori sono andati ad ascoltare gli ex dipendenti, a caccia delle fatture e degli ordini di fornitura alla miniera amantifera di Balangero, in provincia di Torino, il posto da cui veniva l’amianto bianco. Hanno cercato impiegati e qualche dirigente, messo insieme le informazioni e le testimonianze: ricostruiscono che dal 1962 alla fine del 1975 nel Das c’era amianto «in concentrazioni variabili dal 25 al 30%». Il resto era una miscela di talco e gesso. «Il rischio maggiore è stato tra il 1962 e il 1966 quando – spiega Silvestri, igienista del lavoro all’Ispo e uno dei maggiori esperti in materia a livello nazionale – il Das era venduto in polvere e doveva essere amalgamato con l’acqua per creare l’impasto. Dopo è stato diffuso in panetti come pasta fino al 1975, sempre con amianto». Ma con un rischio di esposizione minore. Generazioni di bambini lo hanno allegramente maneggiato. «Certo se qualcuno ha ancora in casa degli oggetti fatti con quella pasta è bene che non li polverizzi» osserva il ricercatore. Quello che rende la materia potenzialmente pericolosa è l’inalazione delle fibre. Ideato e brevettato da Dario Sala a Milano, la formula del Das venne acquistata dall’azienda toscana dell’Adica Pongo che lo ha lanciato in pochi anni, e con fortuna, sui mercati internazionali. Approda in Olanda, Inghilterra, Germania e Norvegia, è un successo: «55 milioni di confezioni vendute in 13 anni, con un numero di utenti nell’ordine dei milioni». Che effetti ha avuto quella esposizione al prodotto? «Sicuramente non ha provocato epidemie – spiega Silvestri – e sappiamo che fra i 15-20 dipendenti che lo avevano lavorato in fabbrica non ci sono casi di mesotelioma». Il mesotelioma, cancro tipico dell’esposizione all’amianto, ha lunghe incubazioni, dai trent’anni in su. Il rischio, si legge nello studio, «c’è stato sia durante la produzione, sia nella preparazione della pasta quando veniva venduto in polvere, sia nella rifinitura degli oggetti quando, essiccati, si limavano. Tuttavia va detto che l’amianto bianco ha una minore potenza cancerogena rispetto a quello di anfibolo». All’Ispo lanciano «un appello alle autorità affinché vengano effettuati test accurati su articoli di importazione, tra cui i giocattoli, quando questi provengano da Paesi in cui l’amianto non è ancora vietato». Come per esempio dalla Cina e dall’India. «Abbiamo il caso di un’insegnante nel nord Italia – conclude Silvestri – affetta da mesotelioma che ha detto di aver usato il Das, ma non ne conosciamo altri, al momento».