Corriere della Sera, 30 dicembre 2015
In morte di Lemmy Kilmister, il padre dell’heavy metal
La faccia da pistolero e quei baffoni lunghi fino a diventare basette. La voce roca e una sigaretta perenne fra le labbra. Lemmy Kilmister era il padre dell’heavy metal. Una fama costruita con 50 anni di onorata carriera a picchiare sul basso e con uno stile di vita fedele alla lettera al motto «sesso, droga e rock ‘n’ roll». È morto lunedì sera, nella sua casa di Los Angeles, a 70 anni appena compiuti, a causa di un tumore aggressivo scoperto solo due giorni prima.
Lemmy, come ormai chiunque lo chiamava, era stato soprattutto il fondatore, nel 1975, dei Motörhead, una band simbolo nel mondo dell’heavy metal, anche se lui preferiva definirlo «rock suonato a un volume da spaventare i genitori». Coerenti, monolitici e allergici alle mode, i Motörhead hanno sfornato una ventina di album, vendendo più di 30 milioni di dischi. «Ace of Spades» e «Killed by Death» restano un manifesto di genere. L’ultimo, «Bad Magic», uscito 4 mesi fa, suona oggi come il testamento della band, che ha già annunciato lo scioglimento. «Suonate forte i Motörhead e la musica di Lemmy. Fatevi un drink o più di uno, condividete storie. Celebrate la vita di questo uomo meraviglioso che l’ha vissuta in modo così vibrante. Lui avrebbe voluto questo» è stato il biglietto d’addio dei compagni di palco.
Quando non suonava, Lemmy coltivava le sue grandi passioni, nessuna particolarmente legale e salutista. Le anfetamine e l’alcol: per anni ha bevuto più whiskey che acqua e, anche quando gli fu diagnosticato il diabete e i medici gli impiantarono un defibrillatore, rinunciò solo alla Coca Cola. Ultimamente per reggere i ritmi della vita da artista si sforzava di salire sulla cyclette. Senza particolari sentimenti politici poi collezionava memorabilia naziste: come la croce di ferro appesa al collo e il pettine di Eva Braun, l’ultima signora Hitler. Possedeva anche svariate armi da taglio: le sue preferite erano le katane giapponesi e le sciabole da cavalleria. Odiava la religione: fu soprattutto l’abbandono della famiglia del padre, un cappellano della Royal Air Force, quando lui aveva solo tre mesi, a innescare la rabbia che riversava nei testi.
Anche Lemmy però aveva un cuore. E per celebrare il suo curriculum da 1200 donne, la rivista Maxim lo aveva eletto tra le 10 leggende viventi del sesso. Nato a Stoke-on-Trent, nell’ovest inglese, cresciuto in un’isola del Galles, il suo modello di vita era Jimi Hendrix, per cui nel ’67 lavorò come roadie. Lemmy era diventato una leggenda del metal, un simbolo per almeno un paio di generazioni. «Voglio solo essere ricordato come una persona onesta, il resto non conta nulla» disse non molto tempo fa, gridando tutta la sua umiltà.
Lui che durante la carriera aveva collaborato con tutti i più grandi dell’hard rock, da Ozzy Osbourne (che in un tweet l’ha salutato come «un guerriero, una leggenda») ai Ramones (nel ’96 suonò al loro concerto d’addio), da Brian May («un amico unico»), a Slash e ai Metallica, che lo consideravano l’unico vero idolo. Se ne è andato nella sua casa californiana. Circondato dalla famiglia (aveva due figli), seduto davanti al suo videogioco preferito. Senza nemmeno il tempo di abbassare il volume.