Corriere della Sera, 30 dicembre 2015
Al funerale del papà di Massimo Bossetti
L’agente della polizia penitenziaria che per tutto il funerale è rimasto alla sua sinistra gli mette una mano sulla spalla. La messa è quasi finita e Massimo Bossetti esce dalla prima fila per raggiungere il pulpito. Nella parrocchia di Terno d’Isola, si rivolge direttamente a Giovanni Bossetti, il papà morto la mattina di Natale a 73 anni. Per un’ora, in chiesa, non è l’imputato per l’omicidio di Yara Gambirasio, ma è un figlio che ha perso il padre. Legge un foglio, con un nodo in gola: «Papà, questa tua perdita ha lasciato un vuoto incolmabile. Dolore nel dolore. Non c’è sofferenza peggiore, i genitori sono il pilastro della nostra esistenza». Perché, continua, «si può avere tutto dalla vita, una moglie, dei figli, sorelle e fratelli, zii, ma quando mancano i genitori non sei più nessuno. Sono insostituibili, come lo eri tu».
Giovanni, dice Massimo, era «un perfetto marito, non ho nulla da rimproverare. Ci hai cullato, amato, cresciuto, insegnato tante cose». Poi scende gli scalini e va a baciare la foto del padre sopra la bara. Quando torna nel banco con gli occhi gonfi per le lacrime, la mamma Ester Arzuffi lo stringe in un lungo abbraccio. In seconda fila c’è la moglie Marita Comi. Lui si volta, piange disperato e anche lei lo stringe forte. Era arrivata poco dopo il resto della famiglia, con la chiesa già piena di gente, e si era seduta sul lato opposto a quello dei Bossetti. Ha cercato il marito con lo sguardo e poi è andata a sedersi dietro di lui.
Quando è il momento di tornare in carcere l’ultimo abbraccio per Massimo è della sorella gemella Laura Letizia. Gli altri proseguono a piedi verso il cimitero, dove Marita rimane nell’ombra della discrezione, per poi avvicinarsi alla suocera e abbracciarla. La madre e la moglie, le due donne che il giorno dell’arresto di Massimo si sono scontrate. «Dovevi dirmelo», le aveva urlato Marita riferendosi alle indagini sul Dna: il suo «Massi» figlio naturale dell’autista di Gorno Giuseppe Guerinoni, non di Giovanni Bossetti.
Ester e la figlia Laura Letizia sono arrivate sull’auto scura della security privata ingaggiata dal loro avvocato Benedetto Maria Bonomo: cinque uomini con gli auricolari sono rimasti a fare quadrato attorno ai Bossetti anche in chiesa, con gli occhi puntati su chi armeggiava nelle tasche o nelle borse. Ma anche i carabinieri e gli agenti della polizia penitenziaria in borghese, per almeno un’ora prima della messa hanno fatto su e giù in chiesa per controllare che non ci fosse nessuno, appostato con telecamere indiscrete. Sono sempre rimasti attorno all’imputato, senza mai allentare l’attenzione. E non si sono lasciati sfuggire il telefonino spuntato dalle tasche di un ragazzo. Un agente l’ha fulminato con lo sguardo, lui è uscito. Si è materializzato così il desiderio di riservatezza dei Bossetti.