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 2015  novembre 18 Mercoledì calendario

Diamanti, rubini e zaffiri, storie di pietre preziose

Trovate un diamante di tipo IIa – il più puro che esista – e fate in modo che sia di colore D – il bianco più perfetto e luminoso e prezioso – e abbastanza grande da pesare, una volta tagliato, 35 carati, poi costruitegli attorno, a tripla collana, una cascata di platino e diamanti altrettanto impeccabili. O se preferite una composizione più leggera, appendete a un collier di diamanti, sotto una rarissima perla naturale, 45 carati di zaffiro birmano dal ricercatissimo colore Royal Blue, un blu notte a cui impercettibili inclusioni – minuscoli aghi di rutilo – regalano un’ancor più preziosa consistenza di seta.
Oppure: montate su un anello un rarissimo diamante rosa da 5 carati e mezzo – ma rosa davvero, un introvabile intenso rosa – o un ancor più raro diamante blu fiordaliso – solo un diamante su mille è azzurro, ma trovarlo di questo azzurro e di questa purezza, e da 3 carati e mezzo, è praticamente un miracolo – o un antichissimo smeraldo da 17 e rotti carati di un verde perfetto, senza neppure un bagliore giallo o azzurro, o 8 carati del Sacro Graal degli zaffiri, il padparadscha, il cui nome viene dal sanscrito padma ranga, color del loto, quel punto perfetto tra il rosa e l’arancio del cielo del tramonto indiano che, in una pietra naturale, è un’assoluta rarità.
O ancora: racchiudete il colore di un’altra ora del tramonto – quell’azzurro luminoso, con appena un lampo di rosa, che al crepuscolo delle più belle sere d’estate indugia sull’orizzonte – nei 198 (!) carati di uno zaffiro storico e misterioso, appartenuto a una famiglia dai tragici destini, e fatene il cuore di un bracciale tempestato di diamanti (ma dello zaffiro parleremo ancora più sotto).
Se a questo punto siete storditi, l’effetto è proprio quello che si voleva ottenere. Perché le straordinarie gemme descritte, più tante tante altre, fanno parte di Étourdissant Cartier, una collezione di pezzi di alta gioielleria con cui la maison francese ha voluto étourdir – stordire di bellezza – noi giornalisti e trecento collezionisti di tutto il mondo, convocati a Singapore per ammirare il frutto di anni di ricerca e di altissima manifattura. Ricerca, appunto, di pietre sorprendenti, come le gigantesche opali nere che sembrano imprigionare l’arcobaleno. Manifattura ormai leggendaria, come quella delle parure in stile «Tutti Frutti», grappoli di rubini, smeraldi e zaffiri intagliati a motivi di foglie, fiori e, appunto, frutti.
Ma il re della collezione – e dovremmo dire zar – è lo Zaffiro Romanov, la sberla da 198 (!) carati di cui sopra. Estratto secoli fa da una miniera dello Sri Lanka, arrivato chissà come a San Pietroburgo alla corte di Alessandro III, penultimo imperatore, indossato la sera del 25 gennaio 1883, a un ballo a tema «antica Russia», dalla zarina Maria Feodorovna, che lo fece incastonare, assieme a un mai più trovato zaffiro gemello, su una lunga cappa di broccato, tempestata di diamanti e perle e orlata di zibellino.
Rimane, quella, l’unica «uscita» documentata dello zaffiro. Scoppiata la rivoluzione, la zarina, ormai vedova, scappò in Crimea, e lì scoprì che i bolscevichi avevano ucciso i suoi due figli maschi superstiti, l’ultimo zar Nicola II e il fratello Granduca Michele, e cinque dei suoi nipotini. Finì i suoi giorni in Danimarca, la terra del padre Re Cristiano IX, dove era riuscita a portarsi dietro pochissimi dei suoi gioielli. Indossò ogni giorno la spilla di diamanti che l’amatissimo marito le aveva regalato il giorno del loro matrimonio. Morì il 13 ottobre 1928.
Esattamente due mesi più tardi, la boutique Cartier di New York metteva in vendita una collana su cui spiccava, circondato da diamanti, smeraldi e smalto nero, il famoso Zaffiro Romanov, comprato all’asta dopo che le autorità sovietiche avevano messo in vendita parte dei tesori sequestrati alla famiglia imperiale, e «limato» di qualche carato per dargli un taglio più elegante. Se ne innamorò Ganna Walska, cantante lirica dalle oscure origini polacche, condannata a essere famosa, più che per il talento, per l’abilità nell’accalappiare mariti (6!) di sconfinata ricchezza, capaci di finanziare la sua carriera artistica – è ispirato a lei il personaggio della seconda moglie del protagonista di Quarto potere – e il suo amore per i gioielli. Come appunto il Romanov, di cui era così innamorata che lo fece ripetutamente montare e rimontare. Solo nel 1970, presa dall’ultima passione della sua vita – la costruzione a Montecito, in California, di Lotusland, uno dei più bei giardini botanici del mondo –, si decise a metterlo in vendita.
Nel 1992, lo zaffiro è riemerso in un’asta a Ginevra. Poi è scomparso di nuovo. Fino a quando, nel 2014, i compratori di Cartier sono riusciti a riportarlo «a casa». Per stordirvi.