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 2015  novembre 18 Mercoledì calendario

Nello Santi e “Traviata”

«Che impressione tornare alla Fenice con Traviata ! Qui l’avevo diretta nel 1975, la seconda volta fu in un tendone del circo perché il teatro era bruciato, ora torno nel luogo dove quest’opera venne eseguita per la prima volta il 6 marzo 1853». Il capolavoro di Verdi è il titolo simbolo della Fenice e come tale viene riproposto ogni anno: a dirigerlo nel 2016, ad aprile e a settembre, sarà Nello Santi, nome storico e mito vivente del teatro lirico con i suoi 64 anni trascorsi sui podi dei più importanti teatri del mondo.
«Sono nato ad Adria (nel 1931, ndr.), ad uno sguardo da Venezia, ovvio che la Fenice fu il primo grande teatro che incontrai». Ma non si pensi a pellegrinaggi del giovane Nello in laguna: «Era la Fenice a venire da noi: il teatro allestiva alcune opere ad Adria, ricordo ancora un Rigoletto con Piero Masini e una Madama Butterfly con Toti Dal Monte e Mario Del Monaco. Comunque qualche volta sono anche andato a Venezia, ad esempio ad assistere a un Boris Godunov diretto dal grande Tullio Serafin e ai Quatro rusteghi di Wolf-Ferrari».
A parte le sortite giovanili, Santi arrivò sul podio della Fenice di Venezia trentenne e senza timori reverenziali: «Fu per una Sonnambula che annoverava nel cast Joan Sutherland; ci litigai: lei arrivava con la sua impostazione e non era aperta e nessun cambiamento, io avevo altre idee su tempi e fraseggi; due posizioni e due visioni inconciliabili, la direzione del teatro decise di tenere me e mandare via la Sutherland; al suo posto arrivò Renata Scotto, che cantò alla grande a fianco di Alfredo Kraus».
Le loro strade si sarebbero incrociate ancora e proprio per Traviata, al Covent Garden di Londra: «Quella volta non arrivò con una sua impostazione perché non l’aveva proprio studiata; così alla seconda recita non c’era più lei, ma Virginia Zeani, che a quel tempo era la miglior Violetta in circolazione».
Fu quella una delle tante Traviate che Santi ha affrontato nella sua lunghissima carriera: «Mi ricordo perfettamente la prima perché fu proprio agli inizi: il 25 gennaio 1952 al teatro Verdi di Padova, cantavano Ivana Tosini e Vittorio Benetti, baritono che l’anno prima aveva vinto il concorso del teatro Nuovo di Milano e che era stato Rigoletto sempre a Padova, quando avevo fatto il mio debutto nell’opera».
Dopo quella Traviata padovana ne seguirono diverse altre: «Non sono legato ad un allestimento in particolare, anche se ricordo con affetto quello del Metropolitan a New York con Anna Moffo; mi dispiace non averla potuta fare con Magda Olivero, ho potuto ammirare la sua Violetta solo dalla platea».
Eppure, nonostante le decine di volte che ha alzato la bacchetta sul tragico amore di Violetta e Alfredo l’opera continua a sorprenderlo: «Non si finisce mai di imparare e non è un modo di dire; per non essere retorico o filosofico mutuo da Toscanini un’espressione che mi piace molto: si va avanti, per forza di inerzia si va avanti e guardandosi indietro ci si accorge che si sono fatti dei progressi. Lui lo diceva anche del genero, un pianista che aveva sposato sua figlia Wanda: a chi gli chiedeva come suonasse lui rispondeva che stava facendo progressi, ed era il grande Horowitz!».
Ironie a parte, anche dopo sessantatré anni dalla prima volta, Santi scopre qualcosa di nuovo in Traviata : «Ho potuto incontrare Licia Albanese, che l’aveva cantata con Toscanini, e mi ha illustrato tutti gli appunti – non li chiamerei arrangiamenti o correzioni, non si corregge Verdi! – di quello che per me rimane il più grande direttore di sempre: colorature e puntature che creano effetti e sonorità inedite, le sentivo nella registrazione fatta dal maestro nel 1946 ma non riuscivo a spiegarmele. Grazie a Licia mi si è aperto un mondo, ho usato tutte le sue indicazioni nella Traviata che ho appena diretto al San Carlo di Napoli».