Corriere della Sera, 18 novembre 2015
La Francia chiede aiuto, l’Europa dice sì
PARIGI «La Francia ha chiesto l’aiuto e l’assistenza dell’Europa e oggi l’Europa ha detto sì», ha dichiarato ieri il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini.
Poco prima il ministro della Difesa francese Jean Yves Le Drian, nel corso di una riunione con i colleghi a Bruxelles, aveva invocato l’articolo 42.7 dei trattati che impone «l’obbligo di prestare aiuto e assistenza con tutti i mezzi a disposizione a uno Stato membro vittima di un’aggressione armata sul suo territorio». L’articolo 42.7 era una disposizione finora dimenticata, non è stata mai usata. Vi si fa ricorso per la prima volta nella storia dell’Unione europea dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi, «e la domanda ha ottenuto un sostegno unanime, il che rappresenta un atto politico di grande valore», dice Le Drian. Pensato per l’attacco tradizionale da parte di uno Stato, il 42.7 viene applicato all’attacco terroristico condotto al massacro perpetrato dall’Isis, il che conferma l’impostazione anche giuridica decisa dal presidente François Hollande: gli attentati di Parigi sono stati un atto di guerra.
La risposta europea alla richiesta francese è stata affermativa, unanime e rapida, ma di principio. Adesso si tratta di vedere come concretamente gli Stati aiuteranno Parigi. Intanto, «niente a che vedere con la politica di sicurezza e di difesa comune», ha chiarito Mogherini: si tratterà di contributi bilaterali, Stato per Stato.
Il ministro Le Drian ha ricordato ai partner europei che la Francia è da mesi impegnata su più fronti: «Non possiamo fare tutto. Siamo allo stesso tempo nel Sahel (Mali, ndr ), in Repubblica centroafricana, in Libano, interveniamo con gli aerei in Siria e Iraq e in più dobbiamo assicurare la sicurezza nazionale». In particolare l’operazione in Mali è una vecchia fonte di dissidio tra la Francia e i partner europei: Hollande la lanciò in fretta per evitare che la capitale Bamako cadesse in mano agli jihadisti, aspettandosi poi un contributo europeo che invece è stato morale e nient’altro.
La Francia ora si attende che altri Paesi mandino truppe in Mali o Libano, partecipino ai raid contro l’Isis in Siria e Iraq, o almeno offrano un aiuto logistico e di intelligence. Il sostegno europeo potrebbe prendere anche la forma di maggiore comprensione sul risanamento dei conti pubblici. Come ha detto Hollande durante il solenne discorso di Versailles, «il patto di sicurezza conta più del patto di Stabilità».
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Tra la strage di gennaio e quella più grave di novembre l’Europa ha conosciuto l’ondata di profughi proveniente in larga parte dalla Siria. Secondo l’Alto commissariato per i rifugiati 820.318 migranti hanno attraversato il Mediterraneo nel 2015. Se si addizionano i profughi degli anni precedenti, il loro arrivo è uno degli avvenimenti più importanti e traumatizzanti del secolo. Ha suscitato solidarietà e avversione, dividendo in generale il continente tra il Sud-Ovest non del tutto restio all’accoglienza e il Centro-Nord invece apertamente ostile, in difesa dell’identità nazionale restaurata dalle rovine della guerra e del comunismo.
La strage parigina ha suscitato emozione, espressioni di sincero cordoglio, messaggi di sostegno, telegrammi, preghiere e fiori, e c’è stata la generosa dichiarazione di Federica Mogherini. Ma quella tragedia ha soprattutto accresciuto, ingigantito l’inquietudine per quell’ondata di migranti arabi che ancora si sta riversando in Europa. L’appello di François Hollande alla solidarietà per la Francia ferita e impegnata in una guerra ha ricevuto risposte amichevoli, annunci di disponibilità formale, messaggi di sincero dolore per le vittime. Ma la parola “guerra” , evocata da decenni nell’ Europa pacifica soltanto per ricordare tenzoni armate in corso alle porte, o lontane, o remote, non ha avuto un’accoglienza adeguata al suo significato [...] Angela Merkel non vuole essere, scrive Spiegel, una cancelliera di guerra, anche se la sua Germania fornisce mezzi logistici e addestratori alle forze armate francesi impegnate nell’Africa occidentale, e arma i combattenti curdi in Iraq. E compie ormai da tempo missioni militari in varie parti del mondo. Neppure Cameron, il primo ministro britannico, pur disponendo il suo paese del più attrezzato esercito occidentale, dopo quello degli Stati Uniti, è ansioso di partecipare alla guerra che non è soltanto francese. Senza contare Matteo Renzi che «non vuole spaventare gli italiani». La guerra giusta, quella in difesa di valori, sembra non avere più alcun valore (Bernardo Valli su Repubblica).Tra la strage di gennaio e quella più grave di novembre l’Europa ha conosciuto l’ondata di profughi proveniente in larga parte dalla Siria. Secondo l’Alto commissariato per i rifugiati 820.318 migranti hanno attraversato il Mediterraneo nel 2015. Se si addizionano i profughi degli anni precedenti, il loro arrivo è uno degli avvenimenti più importanti e traumatizzanti del secolo. Ha suscitato solidarietà e avversione, dividendo in generale il continente tra il Sud-Ovest non del tutto restio all’accoglienza e il Centro-Nord invece apertamente ostile, in difesa dell’identità nazionale restaurata dalle rovine della guerra e del comunismo.
La strage parigina ha suscitato emozione, espressioni di sincero cordoglio, messaggi di sostegno, telegrammi, preghiere e fiori, e c’è stata la generosa dichiarazione di Federica Mogherini. Ma quella tragedia ha soprattutto accresciuto, ingigantito l’inquietudine per quell’ondata di migranti arabi che ancora si sta riversando in Europa. L’appello di François Hollande alla solidarietà per la Francia ferita e impegnata in una guerra ha ricevuto risposte amichevoli, annunci di disponibilità formale, messaggi di sincero dolore per le vittime. Ma la parola “guerra” , evocata da decenni nell’ Europa pacifica soltanto per ricordare tenzoni armate in corso alle porte, o lontane, o remote, non ha avuto un’accoglienza adeguata al suo significato.