Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 18 Mercoledì calendario

A Wembley si canta la Marsigliese

Per una sera ci sentiamo tutti “enfants de la Patrie”: giocatori e pubblico, 80 mila tifosi inglesi e tifosi francesi, David Cameron e il principe William in tribuna d’onore, i giornalisti di tutto il mondo in tribuna stampa e presumibilmente anche i milioni di spettatori davanti alla tivù. Tutti in piedi a cantare la Marsigliese prima di una partita che più “amichevole” non potrebbe essere: perché stasera la Patria dell’inno nazionale non è soltanto la Francia colpita dal terrorismo ma l’ideale di “liberté, égalité, fraternité”, i principi da cui è nata l’Europa unita, libera e democratica, e chiunque oggi vi si riconosca. «Stasera è importante esserci e unirsi tutti contro il terrore», dice William, secondo in linea di successione per il trono, qui in qualità di presidente della federcalcio inglese e rappresentante della Corona. «Taglieremo la testa del serpente», afferma il premier Cameron, alludendo all’Is, «adesso siamo qui per dimostrare che il terrorismo non vincerà mai». Principe e premier depongono una corona di fiori al bordo del campo. E anche loro cantano la Marsigliese seguendo le parole che appaiono sui tabelloni luminosi di Wembley. Uno stadio blindato da poliziotti in assetto da guerra, con il dito sul grilletto. Ma animato da quelle tre parole, “libertà, eguaglianza, fratellanza”, che scorrono su un nastro luminoso, mentre tutti tacciono per un minuto di silenzio e di cordoglio.
«Questa non è una partita come le altre», dice Roy Hodgson, ct della nazionale inglese, prima del fischio d’inizio. «I giocatori francesi volevano essere qui per dimostrare che il terrorismo non li spaventa, e noi vogliamo essere qui per la stessa ragione al loro fianco», gli fa eco il suo centravanti Wayne Rooney. E quando gli undici inglesi e gli undici francesi si abbracciano al centro del campo sembrano genuinamente membri di una squadra sola. Inghilterra e Francia si sono fatte una guerra durata cent’anni, sono state rivali per secoli, ancora adesso non si risparmiano ironie, come se il duca di Wellington avesse appena sconfitto Napoleone Bonaparte a Waterloo. Ma quando si smette di scherzare, Londra e Parigi si accorgono di essere due città “sorelle”, come le ha chiamate il sindaco della capitale britannica Boris Johnson dopo l’attentato. Centinaia di migliaia di francesi vivono lungo le rive del Tamigi e altrettanti inglesi lungo quelle della Senna. Ogni anno milioni di visitatori fanno la spola tra l’una e l’altra per turismo e affari. Il canale della Manica, anziché dividerle, le unisce da quando l’Eurotunnel è diventato un ponte che permette di andare dalla stazione londinese di King’s Cross alla parigina Gare du Nord in due ore. Adesso ad affratellare queste due magnifiche metropoli, che rappresentano quanto di meglio esprima l’Europa, c’è anche la tragedia del terrorismo, che ha colpito Parigi esattamente dieci anni dopo Londra, nel 2005 l’attacco che fece 50 morti e 500 feriti nel metrò londinese, nel 2015 quello allo stadio e nelle strade della Ville Lumiere. Così, cantando “Allons enfants de la Patrie” per una “amichevole” di calcio, questa sera allo stadio non ci sentiamo tifosi di nessuno bensì tutti amici, uniti, fratelli.