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 2015  novembre 17 Martedì calendario

Biotecnologie, una nuova eccellenza del "Made in Italy". Nel 2014 le aziende del settore hanno registrato fatturati per oltre 7,7 miliardi, e i nostri ricercatori sono i più produttivi del mondo

Italia patria delle biotecnologie. Nel nostro Paese la ricerca e la creazione di aziende che si occupano di tecnologie per a vita sono un’eccellenza. A dirlo sono i dati del rapporto BioInItaly 2015 sulle imprese di biotecnologie in Italia realizzato dal centro studi Assobiotec di Federchimica. Il rapporto è piuttosto articolato e analizza l’andamento facendo una puntuale suddivisione tra i diversi settori: red biotech (salute dell’uomo e degli animali), green biotech (agroalimentare), white biotech (biotecnologie industriali ed enfatizzando la differenza tra aziende biotech e pure biotech, le seconde si differenziano dalle prime perché «imprese il cui core business rientra prevalentemente nell’utilizzo di moderne tecniche biotecnologiche per lo sviluppo di prodotti o servizi per la cura dell’uomo o degli animali, la produttività agricola, le risorse rinnovabili, la produzione industriale e la tutela dell’ambiente».
Al 31 dicembre del 2014 tutti gli indicatori davano questo settore in crescita: 1,6% il numero delle imprese (384 di cui 251 pure biotech e di cui 225 pure biotech a capitale italiano), 4,2% il fatturato complessivo che supera i 7,7 miliardi di euro, investimenti in ricerca e sviluppo 4,5% a oltre 1,5 miliardi di euro con circa 7300 ricercatori. In pratica il biotech è in Italia uno dei settori che maggiormente investe in innovazione: mediamente il 19% del fatturato che cresce al 31% sulle pure biotech a capitale italiano. Anche in un confronto europeo l’Italia appare ben messa: è terza per numero di imprese pure biotech (225) dopo Germania (428) e Regno Unito (309).
Questi dati sono buoni e possono ulteriormente migliorare se si accelera sul fronte dei finanziamenti in capitale di rischio, quindi se si insiste sulla creazione e sul sostegno alla crescita di startup in questo settore. Le competenze ci sono, il tessuto industriale anche, ci sono perfino i casi e le exit di successo come per esempio Genenta Science, Silk Biomaterials, Tensive, Eos acquisita dalla statunitense Clovis Oncology o Silicon Biosystems che è stata comprata dal gruppo Menarini (si veda l’articolo ‘Le startup del farmaceutico’ uscito su Nova-Il Sole 24 Ore lo scorso 27 settembre). Ora serve che si sviluppi ulteriormente il capitale di rischio per questo settore che oggi vale l’1% del totale europeo che è complessivamente pari a 870 milioni di euro come rilevato sempre da Assobiotec. Questi investimenti servono sia per fare partire nuove imprese sia soprattutto per farle crescere, oggi infatti l’80% delle imprese biotech sono di piccole dimensioni, percentuale che cresce al 93% se si considerano solo le pure biotech. Se i finanziamenti pubblici, il debito, l’investimento di tipo familiare possono avere un ruolo nella fase di avvio e di primo sviluppo è però importante che sia il capitale di rischio quello che interviene per portare a ulteriori livelli di crescita quelle startup biotech che maggiormente si dimostrano promettenti e capaci di tradurre l’innovazione nelle scienze della vita in aziende ad altissimo valore scientifico e di mercato.