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 2015  novembre 17 Martedì calendario

«La guerra all’Isis è una necessità per tutti i Paesi civili. L’Europa non ha leadership né una politica di difesa comune. Stati Uniti e Russia devono tornare a collaborare». La versione di Berlusconi

Presidente Berlusconi, queste immagini hanno fatto il giro del mondo. E una cosa ci hanno insegnato con chiarezza: c’è una guerra di tipo nuovo che attacca il nostro mondo. Ad Antalya ieri si è concluso il G20. Di fronte alla tragedia di Parigi è un brodino caldo o una scelta di leader politici all’altezza?
Questo lo diranno i fatti. È certamente positivo che i leader mondiali si parlino in un momento di crisi così drammatico e provino a realizzare quello che finora è mancato, cioè una strategia comune per fronteggiare sul piano politico, economico e soprattutto sul piano militare i drammi della nostra epoca. Vedremo in concreto cosa accadrà. Credo comunque che il risultato più importante sia venuto a margine con il faccia a faccia tra Obama e Putin. Stati Uniti e Russia devono tornare a parlarsi e a collaborare.
Lei ha detto: «In Europa di fronte a questa guerra manca la leadership». Lo conferma?
Lo confermo e lo dico con dispiacere e preoccupazione. In particolare l’Europa si sta dimostrando incapace di gestire sia l’ordinaria amministrazione, sia emergenze come quella del terrorismo internazionale e dell’immigrazione clandestina. Non c’è una politica estera comune e men che meno una politica di difesa comune.
Il presidente francese Hollande bombarda l’Isis ed è quello che vuole la guerra. Va fatta?
La guerra all’Isis è una necessità per tutti i Paesi civili, non solo di questo o di quello Stato, perché è uno scontro tra la nostra civiltà, da una parte, e chi invece come l’Isis rappresenta l’odio, la superstizione, il terrorismo. E non è una singola nazione ad essere minacciata, ma tutto il mondo civile. E quanto ad Hollande, ho troppo rispetto per una nazione così crudelmente colpita per esprimere oggi un giudizio o valutazioni sulla linea politica del suo presidente. Posso soltanto dire che la Francia, in questi anni, si è distinta per il suo interventismo deleterio come dimostra il caso della Libia, comunque capitato prima della presidenza Hollande.
Tutto comincia da lontano, da una guerra fatta a Saddam Hussein raccontando, diciamolo pure, delle balle alla gente, con le armi chimiche esibite come un rischio per l’umanità. È incominciato lì l’inganno sulla lotta al terrorismo?
Sì. È cominciato con quella cosa. Io non ero d’accordo con quella guerra e cercai di convincere il presidente Bush e Tony Blair a non farla. L’Iraq è una nazione, come sappiamo, coi confini decisi a tavolino, nel lontano 1915 che contiene tre diversi gruppi etnici rivali da secoli e, in più, c’è una percentuale di analfabeti del 65%. È chiaro che una nazione così fatta non può essere governata come una democrazia, con un governo democraticamente eletto, ma solo con un regime sperando ovviamente che non sia un regime sanguinario, ma era irrealistico pensare che dopo la caduta della dittatura di Saddam l’Iraq potesse funzionare come una democrazia e, infatti, il problema è stato la cattiva gestione del dopo.
Poi è venuto Gheddafi. È pentito di aver accettato, seppure a malincuore, si sa, i bombardamenti contro Gheddafi?
Io non li ho accettati, li ho subiti, esprimendo tutta la mia contrarietà. E poi non c’era niente da accettare perché i bombardamenti erano già in corso, il 19 marzo 2011 a Parigi quando c’è stato il vertice cruciale per decidere una posizione comune sulla Libia, quando io e gli altri capi di governo siamo arrivati, venimmo a sapere che Sarkozy aveva già mandato i suoi caccia a bombardare le truppe di Gheddafi. E questo fatto fu un errore gravissimo perché a pagarne le conseguenze ancora oggi siamo soprattutto noi.
Senza un accordo tra Putin e Obama, si può risolvere il problema Siria?
Non si può risolvere.
Lei è un amico del presidente Putin, l’ha visto recentemente. Qual è la sua linea?
Da mesi Vladimir Putin va suggerendo di creare una coalizione internazionale contro l’Isis, ma l’Europa, che poi dovrebbe essere la più interessata a partecipare, visto che è in Europa che si riversano i rifugiati che scappano dal Califfato, l’Europa invece di collaborare con la Federazione russa ha tentato di isolarla e le ha inflitto sanzioni economiche assurde che oltretutto recano un danno alla stessa economia europea. La linea di Putin è quella del realismo e della consapevolezza. Lui è un patriota russo che non ha esitazione nel difendere i diritti del suo Paese, ma è un uomo con una visione molto lucida delle relazioni internazionali. È costretto a prove di forza con l’Occidente che non vorrebbe e non avrebbe ragione di fare se prendessimo sul serio, per esempio, il diritto all’autodeterminazione dei popoli come per esempio in Crimea e in Ucraina. Putin è consapevole della necessità di azione comune contro il terrorismo ma non è disposto ad aspettare le incertezze e le paure dell’Occidente.