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 2015  novembre 17 Martedì calendario

L’affiliazione all’Isis, l’esame per ottenere la cittadinanza del Califfato, le lezioni d’odio al tribunale della Sharia: confessioni di un reclutatore "pentito". «Prima si arruolavano ogni giorno 3.000 stranieri, oggi al massimo 50 o 60»

All’indomani degli attentati di Parigi, la storia di Abu Khaled – ovviamente non è il suo vero nome – può aiutarci a capire qualcosa di quanto sta succedendo nel frammentato mondo dell’estremismo islamico. Dopo aver militato nei ranghi dei rivoluzionari siriani ha aderito all’Isis lavorando per Amn al-Dwala, i servizi di sicurezza dello Stato Islamico, con il compito di addestrare gli operativi stranieri. Ora sostiene di aver lasciato l’Isis e di essere costretto a vivere nascosto per paura di essere catturato e giustiziato per tradimento. Ma è rimasto in Siria dove il Daily Beast lo ha raggiunto con Skype e WhatsApp.
 
“I loro 007 controllano tutti i confini”
Abu Khaled sostiene di aver visto con i suoi occhi l’arroganza colonialista degli iracheni e degli stranieri arruolati nelle file dell’Isis. Lo Stato Islamico, spiega Khaled, ha creato numerosissimi servizi di sicurezza che controllano la gente con brutalità e si controllano tra loro. “Al centro dell’ideologia dell’Isis c’è l’idea che le frontiere sono obsolete. L’Isis può bombardare Ankara, combattere in Siria, occupare città irachene, organizzare attentati in Libia”.
Da quando ha deciso di lasciare l’Isis, Abu Khaled vive nella paura. “I servizi controllano tutte le frontiere. Io ho personalmente addestrato molti di loro che quindi mi conoscono benissimo. Non posso lasciare la Siria. Ormai per loro sono un kafir, un infedele. Non sono più un musulmano. Posso solo nascondermi”.
La storia personale di Abu Khaled non è quella di un fanatico religioso ansioso di farsi saltare in aria per guadagnarsi il paradiso. Abu è un siriano istruito, credente ma non fervente, in grado di parlare correttamente diverse lingue e con una formazione militare. In sostanza tutte qualità utili all’Isis. Perché allora la decisione di entrare a far parte del Califfato? “L’ho presa il 19 ottobre 2014, un mese dopo che la coalizione guidata dagli Stati Uniti aveva avviato una campagna di bombardamenti su Raqqa, la provincia orientale dove si trovava la cosiddetta capitale dell’Isis”.
 
“Due mesi nel tribunale della Sharia”
Abu Khaled si era convinto che l’America fosse complice di una cospirazione globale guidata dalla Russia e dall’Iran il cui scopo era quello di fare in modo che il tiranno Bashar al-Assad rimanesse al potere in Siria. “A parte questo ero anche curioso. In tutta onestà non me ne pento. Volevo conoscerli e adesso so benissimo chi sono”. Abu è stato accolto dall’Isis come un immigrato. La procedura di registrazione è complicata e quanto mai dettagliata. “Mi consideravano un immigrato nel mio Paese perché non ero cittadino del Califfato”, spiega. “Quindi dovevo essere prima “naturalizzato” e poi dovevo superare un esame per ottenere la cittadinanza”. Una volta superato l’esame per la cittadinanza ci fu la parte del- l’indottrinamento: “Ho frequentato il tribunale della Sharia per due mesi. Mi hanno insegnato a odiare e a ritenere come autentica solo la loro interpretazione dell’Islam secondo cui è nostro dovere uccidere tutti coloro che non sono musulmani”.
Nei primi mesi Khaled conobbe tedeschi, olandesi, francesi, venezuelani, inglesi, americani e russi. Era insomma una sorta di “internazionale jihadista” i cui membri per lo più non parlavano arabo e Khaled fungeva spesso da interprete. Per dimostrare di aver rinnegato la loro origine, i combattenti stranieri dovevano bruciare pubblicamente il loro passaporto.
Prima della battaglia per la conquista di Kobane, l’Isis aveva un’aura di invincibilità e i combattenti arrivavano da ogni parte del mondo per unirsi ai guerrieri del Califfato.
 
L’ecatombe di Kobane e il crollo “vocazioni”
Ma in quella battaglia – che vedeva schierati sul fronte opposto i paramilitari curdi con l’appoggio dell’aviazione americana – morirono migliaia di jihadisti anche per l’incapacità strategica dei comandanti. “Nel momento di massima popolarità del Califfato arrivavano ogni giorno 3.000 stranieri desiderosi di entrare a far parte dell’Isis. Oggi ne arrivano al massimo 50 o 60 al giorno”. L’improvvisa riduzione del numero di volontari ha indotto i leader del Califfato a cambiare strategia incoraggiando la formazione di “cellule dormienti” in tutto il mondo. “L’Isis ha chiesto ai suoi seguaci di rimanere nei loro Paesi d’origine e di organizzare sul posto attentati, uccisioni, disordini”, racconta Khaled.
Gli attentati di Parigi sono probabilmente figli di questo mutamento di strategia. Se così fosse ci sarebbe da temere il peggio.