Libero, 17 novembre 2015
Fernando Botero, ovvero il trionfo dell’abbondanza
Rudy Chiappini è un gentiluomo che racconta l’arte di Fernando Botero con reverenza e candore.
Recentemente è uscito in libreria per l’editore Skira l’ultimo suo libro, Botero. Dipinti 1959-2015, che descrive cronologicamente il percorso pittorico del maestro, dagli esordi ad oggi, con un bel testo introduttivo e un’intervista. Completano il volume i consueti apparati con una sintetica biografia e il curriculum. Naturalmente non è la prima volta che l’autore si occupa di Botero. Ricordo con piacere e divertimento la personale da lui curata presso il Museo d’Arte Moderna di Lugano nel 1997, quando aveva disseminato le vie del centro con le mastodontiche sculture in bronzo. Divertimento, sì! Perché le opere dell’artista in un primo tempo fanno sorridere. Lo scrive anche Chiappini: sono dotate di «una dolce sottile ironia» ma, osservandole in gran numero, si coglie un senso di malinconia. I commenti dello studioso sono acuti, scorrono via con fluida nonchalance, a volte con punte di eccessivo lirismo. In certi passaggi si notano degli azzardi, per esempio che il dipinto D’après Velázquez si riferirebbe alle tele di Francis Bacon.
Ma chi è Fernando Botero e cosa e come dipinge? L’artista, pittore e scultore, è un maestro della figurazione e del classicismo latinoamericani. Nato a Medellin in Colombia nel 1932, con il suo stile unico e personalissimo, immediatamente riconoscibile, assurge presto alla ribalta e al successo internazionale, tanto che è già stato coniato l’aggettivo «boteriano». In Italia, si innamora del marmo bianco di Carrara e nel 1983 si trasferisce per alcuni mesi a Pietrasanta, dove spesso ancora risiede, tra Parigi, Montecarlo e New York. Nei suoi dipinti le figure si dilatano, le forme si ingrossano e si arrotondano.
L’abbondanza trionfa in un mare di colori delicati e bidimensionali. Questa esagerazione tocca ogni cosa: dalle persone, agli animali, alle nature morte. I soggetti sono calati nella dimensione dell’insolito e dell’irreale che ricorda il realismo magico. La prospettiva diventa personale, per creare armonia e equilibrio all’interno del quadro.
L’artista ama il Rinascimento e gli antichi maestri, come Giotto, Leonardo, Piero della Francesca e Raffaello, soprattutto per le rese architettoniche dello spazio e per «l’importanza di riprodurre i valori tattili», che lo porta a sottolineare i volumi. E ancora la pittura spagnola con Goya, Velázquez e Zurbáran. E poi Dürer, Rubens (Rubens e sua moglie, 2005), Manet, Cézanne. Non mancano i riferimenti all’arte sudamericana: i colori delle statuette precolombiane e dell’artigianato, l’influenza dei murali messicani.
Botero riesce a coniugare il sogno e la dimensione favolosa e corale dell’arte sudamericana con l’armonia dei talenti europei a cui si ispira con passione, conservando tuttavia l’identità del suo stile. Spiega che in tutta la sua pittura si trova un mondo che ha conosciuto durante la giovinezza. Il soggetto centrale del suo lavoro è una specie di nostalgia. Le sue opere sono come sospese e portano in sé «qualcosa di enigmatico e inquietante». Tranne che per poche eccezioni, come la serie di Abu Ghraib, i personaggi boteriani non vivono né forti gioie, né forti dolori.
La monografia è organizzata per temi iconografici: gli antichi maestri; le nature morte; la corrida, un soggetto estremamente legato alla cultura e alla tradizione ispanica, con il rito della vestizione dei toreri e gli applausi del pubblico; la religione; la politica; la società; la famiglia (Le sorelle, 1969-2005); le feste; i nudi, immersi nell’Eden dove non esiste malizia; i ritratti (L’infanta Margherita Teresa, 2006); la violenza in Colombia; il circo (Gente del circo, 2007), con la preparazione degli spettacoli, i momenti di riposo e i ritratti dei pagliacci, dei trapezisti e delle cavallerizze. Infine, Abu Ghraib del 2005, con i corpi feriti e offesi dei prigionieri iracheni torturati dai marines, in cui lo spazio è interamente occupato dalle figure seminude dei carcerati, per indicare l’angustia delle celle soffocanti. Un unicum di denuncia sociale messa in atto dall’artista, nel quale la violenza, per quanto controllata dal rigore formale, si avverte potente e disturbante. Dal 2010 ad oggi, è la volta della Via Crucis, con una trentina di tele e altrettanti disegni, di cui purtroppo non compaiono le immagini nel libro, ma sono citati nei testi scritti. In questi lavori, donati nel 2012 al Museo di Medellin, nessun intento satirico, ma soltanto grande rispetto. Botero si è preso la libertà di mescolare certe realtà latinoamericane al tema biblico, come gli antichi maestri che univano la realtà quotidiana alla storia, e ha inserito anche un suo autoritratto accanto al Cristo, come avevano fatto Masaccio, Pinturicchio, Michelangelo…
Interrogato sul contributo all’arte contemporanea della sua ricerca, Botero spiega che nessun altro artista lo segue o lo imita, perché il suo stile è assolutamente originale; soltanto il tempo potrà stabilire il valore delle sue opere.