Il Messaggero, 17 novembre 2015
«La pace è un lusso che non possiamo più permetterci». Bandiere arcobaleno, adieu: adesso anche tra gli studenti della Sorbona la guerra non è più un tabù. E già si parla di «generazione Bataclan»
Non è un paradosso parlare di guerra sotto la statua di Auguste Comte, il filosofo ottocentesco dell’amore e della critica al militarismo, che sta all’ingresso della Sorbona. È viceversa la riprova della necessità fortissima, o addirittura dell’obbligo morale, di dover capovolgere un’abitudine mentale finora egemone e diventata, soprattutto tra i giovani, senso comune che non significa buon senso. Quella che la guerra non esiste; che non si può pensare alla guerra; che la guerra deve restare un tabù e la pace deve rimanere un totem intoccabile. Il ribaltamento culturale, dal love & peace alla necessità di rispondere al terrore anche con le armi, i ragazzi della generazione Bataclan, cioè questi giovani che l’altra sera potevano essere al teatro della strage e ora aspettano l’arrivo di Hollande per unirsi a lui nel minuto di silenzio, lo raccontano proprio mentre stanno assiepati intorno alla statua di Comte.
Nessuno di questi studenti ha portato con sé – come dopo la strage di Charlie Hebdo nel gennaio scorso – un vessillo arcobaleno o il simbolo della pace. «Alle stragi come si risponde, con i pasticcini?», dice Georges, 22 anni, studente di storia antica. Cerca di essere brillante ma non nasconde la preoccupazione: «Qui abbiamo tutti paura, ma la storia insegna che alla paura non si risponde con l’inerzia».
LA MARSIGLIESE
Poco più in là, in questa folla che aspetta Hollande e poi canterà insieme a lui la Marsigliese, ci sono tre ragazzi con un nastro bianco all’avambraccio. Chris, Alex, Roman, si chiamano. Cos’è quella fettuccia? «È un simbolo di pace», spiega Chris, che frequenta il primo anno del corso di politica moderna: «Ma la pace non significa la resa o la voglia di non combattere». A una lezione su François Revel, i ragazzi col nastro bianco hanno appreso che quel grande politologo, già trent’anni fa, parlava del «deperimento della democrazia». Nel quale faceva rientrare anche il non saperla difendere dalle continue minacce che le si presentano. E questa dell’Islam stragista, dopo la fine del nazismo e del comunismo, è la più imponente.
Gordélia è bruna e sottile come una figura di Modigliani. Studia storia dell’arte. Osserva: «Mente chi dice che dobbiamo rivendicare il nostro diritto alla normalità. La situazione è straordinaria e certi pensieri che ci sembravano ovvi e normali, come quello dell’ottimismo della civiltà che prevale automaticamente e in maniera naturale su ogni attacco perché così prevede la determinazione della storia, dobbiamo cominciare ad ammettere che sono vuoti». Armatevi e partite? Di sicuro questa generazione Sorbona-Bataclan sembra – pur nei suoi dubbi – l’opposto della generazione coetanea da banlieue. Se molti ragazzi immigrati delle periferie sarebbero più disposti a morire per il Profeta che per la République, questi giovani universitari hanno appena gridato con Hollande: «Vive la France». Cercano una nuova mitologia quotidiana, in cui rientrano l’identità nazionale e la difesa della patria. Per il culto della libertà, la Francia ha gettato il sangue nella sua storia e la consapevolezza di doversi rimettere in gioco non sfugge a questi parigini che davanti alle bombe sono costretti a rivedere la cultura da cui provengono, quella di generazioni cresciute in tempi di pace con genitori che a loro volta sono nati dopo la seconda guerra mondiale e si sono formati negli anni del pacifismo anni ’60.
E se in questa università, come nelle altre di Parigi al centro del mirino terrorista, ci sono docenti e ragazzi modello Stoner – il protagonista dell’omonimo romanzo best seller di John E. Williams in cui egli non si scuote dall’indifferenza mentre amici e colleghi americani partono militari per andare a fermare il nazismo in Europa – tanti altri cominciano a credere che la lotta anima e corpo sia l’unica alternativa alla fine della civiltà. Chissà se Valeria Solesin, che è stata una di questi giovani della Sorbona, sarebbe ancora affezionata al pacifismo modello Emergency – dopo aver visto morire tanti coetanei nel Bataclan per poi essere abbattuta a sua volta – o avrebbe cominciato a mettere in discussione la propria impostazione culturale. Come fa Cecilia, 28 anni come li aveva Valeria, dottoranda in storia: «La pace come lusso è un lusso che non possiamo più permetterci».
Discorsi così, come l’idea che la difesa contempla il contrattacco, fino alla tragedia di venerdì erano moneta corrente soltanto o soprattutto presso l’elettorato che si aggrappa a Marine Le Pen. E invece, su un altro piano, questa insofferenza per l’inazione si sta diffondendo anche nelle élites culturalmente più avvertite, tra questi giovani che sono la classe dirigente in erba. Finiranno a combattere in Siria contro il Califfato alcuni di loro, portandosi i libri nelle trincee come il grande storico francese Marc Bloch, sergente di fanteria nella prima guerra mondiale? Magari sì, magari non ce ne sarà bisogno. «Ma non possiamo non porci il problema», taglia corto un biondino occhialuto, Marcel, che non ha un aspetto marziale.
LA LEZIONE DI CAMUS
Più in là, c’è Souad, origini marocchine, velo sulla testa, studentessa di diritto internazionale. «Dobbiamo – così spiega – liberare l’Islam moderato dal ricatto dei fondamentalisti». Poi la calca se la porta via. E sarebbe stato bello chiederle se ha visto il film “Timbuktu”, che lo scorso anno doveva vincere l’Oscar, nel quale si racconta come timidamente l’imam di un paesino del Mali preso d’assalto dalle truppe jihadiste avesse provato a far ragionare i terroristi, prima di arrendersi alla legge della forza, in attesa di giorni migliori. Questo tipo di atteggiamento remissivo, che ha unito per sottovalutazione o per paura la stragrande maggioranza del mondo musulmano e l’Occidente tutto concentrato sui propri presunti sensi di colpa, viene messo finalmente in discussione da molti giovani. Sempre più allergici al mainstream che ha prodotto disastri. E che contrasta per esempio con il contenuto di quel pezzetto di carta, attaccato grazie a quattro pezzi di scotch giallo alla base della statua raffigurante la Repubblica francese con la spada sguainata, che sta lungo la Senna di fronte al Louvre ma dall’altra parte del fiume. Contiene un passo dattiloscritto di Albert Camus – il grande intellettuale algerino e francese – questo foglio, in cui si legge alla fine: «Gli uomini liberi sono quelli che si rifiutano di subire il terrore».