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 2015  novembre 17 Martedì calendario

Pistelli a tu per tu con Roberto Gervaso. Lo scrittore giornalista parla di Usa («che in politica estera non hanno mai capito niente»), di Bin Laden («che per me non era il regista ma solo una pedina importante del gioco»), di Charlie Hebdo («che ha l’unica colpa di non aver mai fatto ridere nessuno»), del Califfato («che andrebbe raso al suolo. E se non lo fanno posso solo pensare che siano imbecilli»), dell’evoluzione digitale («Oggi anche una scimmia arrampicata su un albero del Borneo si mette in contatto con Wall Street), della sua Lettera 22 («lasciatami in eredità da Montanelli); degli Ebook («che non riuscirei mai a leggere. Sarebbe come scoparsi un donna dopo che mi ha tolto la prostata») e della moglie («che mi ha insegnato a obbedire. Come Seneca mi ha insegnato a vivere, Voltaire a scrivere, Casanova a viaggiare e a conoscere il mondo, Machiavelli a capire la politica»)



 Avevamo fissato l’intervista a Roberto Gervaso per parlare del suo ultimo libro, una deliziosa raccolta di aforismi, uscita per Mondadori: La vita è troppo bella per viverla in due. Corso di educazione cinica. Solo che la chiacchierata cade l’indomani delle stragi parigine, e non si può non parlarne con un giornalista e scrittore che, oltretutto, assieme a Indro Montanelli, ha reso popolare la storia, raccontandola in maniera piana e avvincente.
E la storia che sta passando fra il Bataclan e Raqqa, riguarda tutti.
Forse, Gervaso, un po’ di educazione cinica sarà necessaria anche parlando di terrorismo. Da dove partiamo?
«Forse la stupirò. Dal Concilio Vaticano II».
La prende larga, avanti.
«In buona fede, papa Giovanni XXIII lanciò l’ecumenismo, quello evangelico, senza reciprocità. E ciò imbaldanzì alcune fedi, come quella islamica».
Cosa c’era di sbagliato?
«Che io, oggi, non posso andare a Riad o Sana’a, con una donna che non sia mia moglie, non posso avere la Bibbia come livre de chevet, non posso portare un crocifisso o costruire una cappella votiva. È stato un segno di misericordiosa volontà, non una mossa politica».
Che ha determinato cosa?
«Che abbiamo l’Italia piena di moschee e subiamo la forza di un proselitismo fanatico, di quello che c’era, fra i cristiani, dopo Costantino, oppure coi roghi delle streghe. Ora, se l’Islam ne ha avuto solo dei vantaggi, la Chiesa ne ha avuto guai, in termini vocazioni e non solo».
Beh, però il Concilio non fu solo quello e la Chiesa, secondo alcuni vaticanisti, ripartirà alla grande, con Papa Francesco.
«Ah, Jorge Bergoglio... Solo un gesuita poteva fare così bene il francescano, però, e lo dico da laico, non si può passare dalla sedia gestatoria alla Panda. Io sono stato molto amico di un gesuita, sa?».
E di chi si tratta?
«Padre Bartolomeo Sorge».
L’ex-direttore della Civiltà cattolica.
«Nell’intimità di un salotto era una specie di Voltaire. Una volta gli chiesi: «Padre Sorge, ma tu credi in Dio?».
E lui che le rispose?
««Ma cosa dici?», replicò. E cambiò discorso. I gesuiti sono così: o cambiano discorso o rispondono con domande alle domande. D’altra parte, come diceva quello, non si può conoscere il numero dei conventi femminili che ci sono a Roma, come facciano i soldi i Salesiani, e cosa pensino i Gesuiti».
Ci siamo allontanati dall’islamismo, però.
«C’è stato un cedimento: dai tempi delle crociate (tanto che loro mille anni dopo ci danno dei crociati) siamo all’apertura unidirezionale».
Però l’aspetto ecclesiale, non mi pare possa essere la sola causa di quello che è sotto i nostri occhi.
«Infatti, c’è dell’altro. C’entra anche il Muro di Berlino, ossia c’entra il comunismo che doveva morire di metastasi e invece è morto d’infarto, da un giorno all’altro, senza che nessuno lo avesse previsto. L’Urss è implosa di colpo. Per cui, fuori di metafora, l’Europa occidentale, ricca, si è trovata invasa dall’Europa orientale, povera. L’Unione europea poi ha fatto il resto».
Ancora non capisco, come arriviamo sin qui.
«Certo perché le cause sono molteplici. C’è anche il problema americano».
Ossia?
«Premetto che sono filo-americano. Ho amato Fred Astaire e George Gershwin, insomma sono stato come Alberto Sordi di un Americano a Roma».
Doverosa premessa, però?
«Però gli Stati Uniti, in politica estera, non hanno mai capito niente, non so se per ignoranza, se per cinismo, se per un falso concetto di democrazia. In quest’ultimo caso, un falso intenzionale, perché la democrazia non si esporta come un paio di jeans o una Coca-Cola».
Ce l’ha con una certa politica mediorientale di Barak Obama?
«Aspetti. Prima di lui, ci fu quell’imbecille di Jimmy Carter, pace all’anima sua».
Che cosa fece?
«Abbandonò lo Scià, che era corrotto finché vuole, ma aveva il secondo esercito del mondo. Sa cosa mi ha detto uno stretto collaboratore di David Rockfeller?».
Mi dica.
«Che lo Scià, esiliato, si trovò a girare per il mondo e non sapeva come fare perché non aveva un soldo, neppure per pagarsi l’albergo: lo avevano abbandonato da un giorno all’altro. Insomma Carter si giocò l’Iran».
E poi quando i guardiani della Rivoluzione gli invasero l’ambasciata, provò disastrosamente a rimediare, con un’azione militare un po’ pasticciata, che si dovette interrotta nel deserto.
«Non ne parliamo, fu terribile. Poi è arrivato quell’imbecille e criminale di George Bush figlio, che, con la scusa per i gonzi, di esportare la democrazia in Iraq e in Afghanistan, il primo grande produttore di petrolio, il secondo bastione strategico, si mise a fare la guerra. Ma la democrazia non si esporta, sono paesi tribali che, oltretutto, non la vogliono».
In Iraq era un tribalismo venato di politica socialistoide, il Baath di Saddam Hussein.
«Saddam era un pendaglio da forca, ha fatto quel che ha fatto coi gas tossici e la tortura, ma teneva insieme tante tribù che volevano essere governate così. Ed era un nemico giurato degli islamisti».
Poi è arrivato Obama.
«Un altro imbecille. Non so se infantile o cinico. Ha fatto danni, nel Maghreb, in Tunisia, in Egitto, quindi in Siria. Obama ha mostrato come ci sia un solo leader, al mondo, e sia Vladimir Putin».
Quello che con Papa Bergoglio fermò l’intervento americano in Siria.
«Lasciamo fare il suo passato nel Kgb, ma Putin aveva capito che far cadere Bashar al Assad avrebbe significato consegnare la Siria ai fondamentalisti».
Restiamo su Obama.
«Il quale ha detto che non vedremo, sotto la sua presidenza, un’impronta di scarpone americano su terreni di guerra, per cui combatte coi droni. Ma il Califfo lo vinci con una guerra convenzionale, essendo evidente che non puoi usare l’atomica. E Obama s’è messo contro Putin! Io non so chi siano i suoi consiglieri e che cosa gli dicano. A meno che non ci siano ragioni occulte, eh, io sto agli elementi noti. E comunque..».
E comunque?
«La causa principale di tutto quello viviamo oggi è non avere dato uno Stato alla Palestina. E, badi bene, io sono filo-isrealiano, ma il Medio Oriente è barile pieno di polvere da sparo e chi ci si sieda sopra, salta. Finché non risolviamo questa questione, non ne usciamo. L’Onu, quel baraccone famelico, faccia qualcosa».
L’Europa sembra oscillare fra la voglia di menare le mani e l’ossessione del politicamente corretto, dei «musulmani buoni», dell’Islam moderato. Ora c’è pure il pacifismo.
«È l’inerzia del buonismo. Io sono un pacifico ma non pacifista, cerco di essere una persona morale ma non moralista. Gli «ismi» in genere portano a guai grossi».
Infatti nel suo libro, scrive che «chi non accetta il proprio destino, ne rischia uno peggiore».
«Io credo che infatti occorra essere cinici, in questo momento. E mi sa che cinico sia anche chi ora metta bandiere francesi o invochi preghiere per Parigi».
Addirittura.
«Oh, le immagini turbano, ma sotto sotto, c’è il cinismo puro: alla fine, al mondo non frega niente di quel che è successo, la gente vuole poter prendere un treno, andare al ristorante o a un concerto senza rischiare la vita. È un cinismo che non vuole sembrare tale, intriso di ipocrisia e di menefreghismo».
Però il politicamente corretto avanza. L’ex-premier Enrico Letta, sabato, ha twittato che non si sarebbe dovuta più usare la definizione di Stato Islamico.
«Lasciamo stare la classe politica, la prego».
In che senso?
«Nel senso che con Winston Churchill o Charles De Gaulle l’Isis sarebbe stato raso al suolo in 24 ore. Il mio cinismo è sinonimo di realismo almeno. Questi son capaci solo di geremiadi, di lutto, di dolore. Lo si era visto anche l’altra volta, no?».
Con Charlie Hebdo?
«La cui unica colpa era non far ridere nessuno. E lo dico da laico, sa, ma le religioni le rispetto, anche se poi me ne fotto delle gerarchie in nome di Dio. Quel giornale era un comizio, settario e trozkista. Anche se la satira deve restare libera, ci mancherebbe».
Lei dice che Charlie aveva dato materiale ai fanatici?
«Questi si aspettano le 72 vergini nell’aldilà, per una scopata eterna son disposti a tutto. Io di vergini non ne conosco, non so lei. E l’aldilà per me rimane un gran mistero».
Riecheggia, per l’ennesima volta, il famoso «che fare?».
«Bisogna radere al suolo il Califfato. Se non lo fanno, posso solo pensare che siano imbecilli o ci siano interessi dietro».
Guerra al terrore, dunque?
«Sì, sapendo che la Grande Guerra ha fatto nove milioni di morti, la Seconda, 55, ma che i conflitti sono necessari, ristabiliscono equilibri politici e sociali. Jean-Jacques Rousseau diceva che l’uomo nasce buono, ma non è vero. Se un bambino ha un giocattolo e ne vede un altro con un altro gioco, vorrà prendergli anche quello. La verità è questa».
Amara.
«Sì ma non si può continua raccontare balle. Io, a 78 anni, ne ho più voglia».
Ne ha raccontate?
«Poche. E poi le raccontavo con ironia, mi rivelavo».
Umberto Veronesi è convinto invece che con l’Isis si debba negoziare.
«Gli ho parlato un anno fa, ha 92 anni e non esce di casa. Per quanto abbia il cervello che funziona, di questa vicenda non ha capito niente. Bisogna parlare piuttosto col presidente dell’Autorità palestinese».
Abu Mazen.
«Sì certo. E risolvere quella questione. Questi dell’Isis sono pazzi lucidissimi. La domanda da farsi, semmai, è chi sono e cosa vogliono».
Lei che risposta si dà?
«Che neppure Osama Bin Laden fosse il regista. Che era una pedina importantissima ma che il gioco, alla fine, fosse sopra la sua testa. Perché non so chi menasse davvero la quadriglia. Questi sono grandi registi, indottrinatori di ragazzi, capaci di convincere uno a indossare una cintura di tritolo e farsi saltare in aria, ma ho l’impressione che i veri capi se ne fottano di Allah, di Maometto, del Corano. A volte temo che non parlino nemmeno arabo. Non so chi siano e preferisco non saperlo».
A meno che, come lei ha detto prima, non intervengano contro l’Isis.
«Esatto. Se spazzolano via questo Stato islamico, allora…».
È pessimista?
«Sì, il pessimista è un ottimista bene informato, che sa dove vanno a finire le cose. E il mondo è un pugno di fango dove, come diceva Voltaire, tanti piccoli animali si scannano fra loro. Del resto l’uomo è egoista, pensa per sé: se andiamo a trovare un amico gravemente ammalato, quando usciamo dalla sua stanza d’ospedale, la sensazione immediata che ci invade è quella di sollievo, che non sia capitato a noi».
Non c’è coraggio?
«Il mondo non ha più coraggio. Ora, è vero, siamo fase di transizione. Caduto il Muro, le Torri gemelle, viviamo una rivoluzione digitale che ha cambiato, in 20 anni, più di quello che non sia avvenuto in 100mila. Oggi una scimmia arrampicata su albero nel Borneo si mette in contatto con Wall Street».
E lei, Gervaso, che cosa fa?
«Scrivo con la Lettera 22, lasciatami in eredità da Montanelli: mi sono rimasti 10 nastri, quando finirà il decimo, non so cosa farò. Certo, non potrei fare a meno. E poi leggo. Se lei vedesse questo mio pied-à-terre milanese, dove sto quando vengo da Roma, vedrebbe il letto ricolmo di libri, che metto a terra quando andiamo a dormire. L’indomani, quando mia moglie ha rassettato, li rimetto sopra. Lei ha avuto l’ultimo?».
Sì, me lo sono fatto mandare dalla casa editrice, in formato elettronico.
«Ah si come diavolo si chiamano? Etub, ebub…».
Epub.
«Ah, no, io non riuscirei mai a rinunciare al piacere della carta. Leggersi un libro in quel modo non ne sarei capace, un po’ come scoparsi una donna dopo che mi ha tolto la prostata».
Dove sta quando vive a Milano?
«Dalle parti di Viale Campania, in una traversa, via…».
No, non importa, era una curiosità
«No lo scriva pure, tanto il citofono è guasto da tre anni. Mia moglie l’ha detto ma non succede nulla».
La signora Vittoria è sempre presente.
«Mi sopporta da 43 anni, pensi. Una donna molto in gamba e molto bella. Una volta, ci facevo un figurone accanto, io, fisicamente scadente. Oggi proprio non mi si può vedere. E comunque mia moglie mi ha insegnato tanto».
Che cosa?
«A obbedire. Come Seneca mi ha insegnato a vivere, Voltaire a scrivere, Casanova a viaggiare e a conoscere il mondo, Machiavelli a capire la politica».