MilanoFinanza, 17 novembre 2015
Tutte le colpe di Obama
Domenica scorsa il presidente Obama ha promesso di «intensificare» gli sforzi degli Stati Uniti contro lo Stato Islamico, il che dimostra che il presidente non è insensibile all’impatto politico dell’assalto omicida di Parigi di venerdì sera. Ma perché qualcuno dovrebbe credergli? Dopo anni passati a rigettare la crescente minaccia terroristica, Obama avrà bisogno di un’epifania se non vuole essere ricordato come il presente che ha permesso all’Islam radicale di diffondersi e prosperare. «Si tratta di un atto di guerra dichiarata da un esercito terrorista, un esercito jihadista, dal Daesh (il nome arabo dello Stato Islamico) contro la Francia», queste le parole pronunciate sabato dal presidente francese François Hollande.
Queste, invece, le dichiarazioni rilasciate il venerdì mattina da Obama ad Abc News: «Abbiamo arginato lo Stato Islamico». Per alcuni il presidente ha la colpa di avere avuto un pessimo tempismo, ma la verità è ancora peggiore: il punto è quello che crede, o almeno quello che voleva far credere agli americani. Il massacro di Parigi dovrebbe segnare la fine di questo auto-inganno. Obama avrebbe bisogno di un appuntamento con la realtà, del genere di quello sperimentato da Jimmy Carter dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979. Sarà più difficile per Obama, un uomo di grande vanità ideologica, ma forse la prospettiva di una sconfitta per il suo partito nel 2016 lo costringerà a vedere il mondo con una maggiore chiarezza, per così dire. Per sette anni Obama ha sfruttato l’impopolarità della guerra in Iraq come scudo per il ritiro dal ruolo di leader dell’antiterrorismo e dal Medio Oriente. I sistematici attacchi con i droni e il successo in materia di sicurezza dal maggior ritorno di immagine per Obama, cioè il raid in occasione del quale è stato eliminato Osama bin Laden, hanno oscurato la crescita del pericolo jihadista a seguito dell’uscita di scena dell’America dall’Iraq e dall’abdicazione in Siria. Inoltre, Obama si è impegnato nella deposizione di Muammar Gheddafi, ma poi non ha fatto praticamente nulla per aiutare i libici a ripristinare l’ordine nel Paese. Gli americani hanno visto un assaggio della tempesta che si stava prefigurando con l’attacco terroristico al consolato degli Stati Uniti a Bengasi, ma la Casa Bianca ha imputato tutto a un video. Adesso il popolo americano può vedere chiaramente la diffusione dell’infezione dello Stato Islamico e la recrudescenza di al Qaeda. Non si tratta solamente di una minaccia regionale, come Obama ha affermato una volta. Le propaggini si sono diffuse in Africa Settentrionale, lungo il Medio Oriente e fino in Afghanistan. Poi, la guerra civile in Siria ha generato l’emergenza profughi, che si è riversata in tutta Europa e che potrebbe aver fornito la copertura ideale ad almeno uno dei jihadisti di Parigi. Lo Stato Islamico non è il jv team indicato da Obama. L’intelligence occidentale ha motivo di credere che i sostenitori nel Sinai siano responsabili dell’abbattimento dell’aereo di linea russo. È responsabile dei bombardamenti che giorno dopo giorno colpiscono obiettivi civili: la settimana scorsa è avvenuto a Beirut e in un convento cristiano in Iraq. L’attacco di Parigi è in qualche modo ancora più allarmante dell’11 Settembre. La minaccia dei dirottamenti aerei è stata allontanata grazie a un innalzamento del livello di sicurezza. Gli eventi di Parigi suggeriscono che lo Stato Islamico abbia intrapreso una strategia basata su azioni di guerra non convenzionale in un contesto urbano ovunque sia possibile in tutto l’Occidente. Ed è molto più difficile tenere sotto controllo e ostacolare i jihadisti kamikaze che imbracciano fucili d’assalto e granate per far saltare in aria un quartiere che ospita ristoranti o una sala concerto. Contando l’attacco su un treno sventato da tre americani, quest’anno la Francia è stata tre volte nel mirino, ma arriverà anche il giorno dell’America. Nel mese di maggio, il direttore dell’Fbi James Comey ha affermato che su territorio statunitense sono presenti «migliaia» di soggetti che stanno assorbendo la propaganda dello Stato Islamico veicolata tramite internet. Il punto ora è cosa il presidente degli Stati Uniti abbia intenzione di fare per impedire una carneficina come quella di Parigi su suolo americano. Potrebbe iniziare con l’eliminazione delle restrizioni politiche alla campagna militare contro lo Stato Islamico. Turchia e Arabia Saudita non ci si sono impegnate di più perché ritengono che il presidente Obama non si sia impegnato abbastanza. Nella giornata di domenica, la Francia ha lanciato attacchi aerei contro la roccaforte dello Stato Islamico di Raqqa, ma gli Stati Uniti avrebbero dovuto colpire quegli stessi bersagli molto tempo fa. Obama dovrebbe ordinare al Pentagono di respingere lo Stato Islamico da tutti i territori conquistati in Iraq e Siria il più rapidamente possibile, il che significa nell’arco di mesi, non di anni. I curdi e gli arabi sunniti forniranno la maggior parte dei combattenti se gli Stati Uniti provvederanno alla potenza di fuoco, all’intelligence e alla leadership politica. Questo dovrebbe coinvolgere l’accettazione della volontà dei turchi e della Giordania di istituire zone di sicurezza in Siria per proteggere i sunniti che stanno combattendo il regime di Bashar Assad, ma non sono jihadisti radicali. Iran e Russia non ostacoleranno una coalizione determinata condotta dagli Stati Uniti che includa Francia e arabi sunniti. A livello interno, sarà necessaria un’inversione di politica di questo genere.
Dal rifiuto di parlare chiaramente della natura islamista della minaccia, all’imminente decisione sulla chiusura di Guantanamo, l’atteggiamento di Obama ha sempre suggerito che l’America sarà più sicura se smetterà di provocare i jihadisti e di trattarli come criminali comuni. Parigi ha tristemente dimostrato quanto questo sia sbagliato. Se dichiarerà che Guantanamo non sarà chiuso sotto la sua amministrazione, e che il controllo degli Stati Uniti aumenterà in patria e all’estero, Obama invierà un segnale importante. È difficile valutare quanto possa avere pregiudicato la raccolta di informazioni dopo il furto perpetrato da Edward Snowden, ma il presidente dovrebbe pensare a riparare questi danni perché qualsiasi attacco terroristico ricadrà sotto la sua responsabilità. Peraltro, con il massacro di Parigi il terrorismo passerà alla ribalta della campagna presidenziale. Nel dibattito dei democratici di sabato sera, Hillary Clinton ha cercato di prendere le distanze dalle politiche di Obama, affermando che lo Stato Islamico deve essere sconfitto e non semplicemente contenuto, ma le sue ricette politiche arrivano comunque da dietro le quinte e, inoltre, è stata tra gli architetti della débâcle libica. Sul fronte repubblicano, le già poche chance di Rand Paul di ottenere la nomination sono ormai svanite. Qualunque possa essere il suo contributo in materia economica, il suo istinto libertario a livello di politica estera è troppo simile a quello del presidente Obama. Gli elettori repubblicani guarderanno sempre di più agli altri candidati per la loro esperienza e il loro giudizio, non semplicemente per le parole dure. Probabilmente le elezioni assomiglieranno sempre di più a un referendum su come mantenere al sicuro l’America.