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 2015  novembre 17 Martedì calendario

A Wembley si gioca Inghilterra-Francia e gli inglesi canteranno la Marsigliese

Non c’è nulla che segua il protocollo nell’amichevole che stasera mette di fronte Inghilterra e Francia, forse perché se fosse una partita di calcio in questo momento non avrebbe senso alcuno. Invece è altro, è di più. È importante.
Il pallone sopravvive agli scandali proprio per questo, perché è un linguaggio universale ed è perfetto per trovare terreni comuni. Per scambiarsi la maglia o addirittura, come succederà oggi, gli inni. A Wembley, un pezzo di patria e di cuore per gli inglesi, si canta la Marsigliese con il testo che scorre sui maxischermi, con l’onore del momento più importante: l’attimo prima del fischio d’inizio, di solito riservato alla squadra di casa. Invece God Save the Queen cede il passo e gli 80 mila dello stadio hanno tutti la stessa nazionalità, una serata da francesi per sostenere la libertà, per rispettare il lutto, per empatia.
Rooney: fiero che siano qui
 
Il capitano dell’Inghilterra Rooney chiarisce il concetto: «Si tratta più di quanto faremo per mostrare vera solidarietà che di quello che faremo in campo. Sono fiero che siano qui». Per il capitano della Francia Lloris è ancora più facile dare una spiegazione all’incontro: «Noi non siamo la nazionale francese qui, siamo la Francia».
Era dalla partita della tregua giocata tra Inghilterra e Germania nel bel mezzo della prima Guerra Mondiale che un campo di calcio, anche se allora era poco regolamentare, non diventava il centro di tutto. Si sono giocate altre sfide storiche, cariche di significato, ma era da tempo che le squadre non erano una contro l’altra ma una per l’altra.
L’esempio di Diarra
Se non fosse stato per Lassana Diarra probabilmente la Francia non sarebbe nemmeno partita. Il primo istinto è stato quello di annullare la gara. La federazione inglese ha lasciato ai francesi la decisione. Loro si sono presi un giorno di riflessione, poi, come ha spiegato il ct Deschamps: «Diarra ha deciso di restare e noi abbiamo capito che andare avanti come previsto era un imperativo».
Per Diarra la notte del 13 novembre doveva essere una delle più belle. Tornato tra i Bleus dopo anni bui, in cui gli è pure toccato spiegare che l’uomo che invocava la guerra per l’Islam in rete spacciandosi per lui era un truffatore, era finalmente titolare contro la Germania. Giocava a casa (è cresciuto a Belleville, il quartiere dove Pennac ha ambientato la saga dei Malaussène) e ha persino vinto, solo che dopo ha scoperto di essere al centro di un incubo. Parigi era sotto assedio e sua cugina, Asta Diakite, era morta.
Lui è un pezzo della Francia multiculturale, un tassello della «fraternité» che ora si è accesa davanti all’arco blu bianco e rosso di Wembley.
In tribuna ci sarà il principe William, presente per dire che non è il momento di avere paura ed evitare i luoghi pubblici. Non esistono reali minacce ma a Londra c’è lo stato di allerta e la polizia armata che da anni stava alla larga dai match inglesi. Niente sarà al proprio posto, nemmeno gli inni. Non è un’amichevole, è un messaggio. E farà parecchio rumore.