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 2015  novembre 17 Martedì calendario

La strategia di Obama non cambia: niente truppe di terra, devono essere i musulmani a sconfiggere i musulmani

«Abbiamo una strategia contro l’Isis, ed è quella giusta che alla fine funzionerà. Ci sarà una sua intensificazione, ma non manderemo altre truppe di terra perché sarebbe un errore». Così, alla fine del G20 dominato dagli attentati di Parigi, il presidente Usa Barack Obama ha spiegato che quella strage non cambierà la sua linea, anche se l’Isis «è il volto del male».
Il capo della Casa Bianca ha detto che i musulmani dovrebbero chiedersi perché i gruppi terroristici più feroci si ispirano all’Islam, e fare di più per contrastare gli estremisti. Però ha aggiunto che aveva ragione il suo predecessore Bush, quando dopo gli attacchi dell’11 settembre aveva dichiarato che «questa non è una guerra contro l’Islam», perché sostenerlo vorrebbe dire scatenare un conflitto globale contro oltre un miliardo di persone. Quindi ha sollecitato tutti a «non confondere i rifugiati che scappano dalla violenza con i terroristi», attaccando in particolare i candidati presidenziali repubblicani come Cruz e Bush che chiedono di ammettere solo i profughi cristiani: «È vergognoso, e colpisce che questa proposta venga da persone che hanno beneficiato a suo tempo dell’accoglienza americana. Noi non abbiamo un test religioso per l’ingresso negli Stati Uniti, è contro i nostri valori».
Obama ha detto che i suoi critici, quelli che lo accusano di aver sottovalutato l’Isis e di essere ora troppo debole, non hanno proposte concrete da avanzare, con l’eccezione di quelli che propongono di invadere la Siria e l’Iraq: «Io però penso che mandare altre truppe di terra sarebbe un errore. Non perché non potremmo marciare su Mosul, Raqqa o Ramadi, ed eliminare temporaneamente l’Isis, ma perché vedremmo la ripetizione del passato. Se non abbiamo popolazioni locali impegnate a formare governi inclusivi, e a respingere gli estremismi ideologici, poi gli estremismi tornano, a meno che non siamo preparati a condurre un’occupazione permanente di questi Paesi».
Piano in tre punti
La strategia di Obama si regge su tre pilastri: le operazioni in corso per ridurre il territorio controllato dall’Isis, quelle contro il terrorismo per prevenire altri attentati come quelli di Parigi, e il filone diplomatico per trovare una soluzione politica alla guerra in Siria. Sul primo punto Obama sostiene che il perimetro dello Stato islamico si è ridotto nell’ultimo anno, e continuerà così, fino a quando la stessa capitale Raqqa verrà strozzata, dando un colpo decisivo alla propaganda dell’Isis. Gli Usa intanto hanno già intensificato gli attacchi, con l’operazione «Tidal Wave II», che sta bombardando i pozzi petroliferi e le cisterne che trasportano il greggio con cui l’Isis si finanzia. Sul secondo punto, gli Usa avevano avvertito la Francia del pericolo, ma non possedevano informazioni precise per prevenirlo: «Il vantaggio dei terroristi non sta nella sofisticatezza delle loro armi, ma nell’ideologia e la disponibilità a morire. La nostra sorveglianza aumenterà». Sul terzo punto, a Vienna è cominciato il dialogo con la Russia. Nelle speranze di Washington dovrà portare a un cessate il fuoco, in cui tutte le fazioni etniche conserveranno il territorio controllato, e si uniranno per combattere insieme il Califfato. L’Isis, però, può essere sconfitta e rimpiazzata nel lungo termine solo da una forza araba sunnita, che gli Usa stanno costruendo.
La partita libica
Per far avanzare questa strategia, Obama ha sollecitato tutti gli alleati a dare più contributi. In particolare durante la riunione del «Quint», cioè Usa, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia, a cui in questa fase gli americani chiedono di dare maggior aiuto soprattutto per combattere l’Isis in Libia. In Siria non si aspettano un intervento diretto di Roma, ma nella nostra ex colonia possiamo fare la differenza.