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 2015  novembre 17 Martedì calendario

Un attimo prima

«Fleur de pommier», scriveva Simone Weil per definire l’essenza stessa della bellezza: un fiore di melo, qualcosa che non dura, cade presto a terra. Fra tutte le immagini di questo atroce 13 novembre, forse sono proprio le fotografie scattate al Bataclan pochi minuti prima del massacro quelle destinate a incidersi più in profondo nella memoria di chi le ha assimilate dedicandogli tutto il tempo che meritano.
Di sicuro, sono quelle che incutono più spavento, nella loro assoluta normalità, nella gioia serena degli artisti e dei loro fan, separati da una barriera molto fragile, che chiunque era lì avrebbe potuto scavalcare facilmente in un senso o in un altro. Dai sorrisi che si vedono sui volti di tutta la prima linea del pubblico, viene da pensare che Jesse Hughes, il chitarrista baffuto e tatuato degli Eagles of Death Metal, abbia appena salutato il suo pubblico con una battuta felice, magari in un francese un po’ maccheronico, come quando, nella mia città, le rock star si ricordano di pronunciare il rituale «forza Roma» che scatena il primo applauso.
Quella che è appena iniziata in queste fotografie è una notte bellissima, c’è da scommetterci: ci può essere un concerto rock più memorabile e un altro più deludente ma questa è una forma d’arte unica, che in qualche modo ottiene sempre un risultato, perché l’energia vitale non è semplicemente assorbita dal pubblico, ma ritorna indietro moltiplicata. Un musicista rock non è solo un uomo di talento, è anche la proiezione del desiderio del suo pubblico. E non c’è nemmeno una grande differenza tra una cantina con cinquanta persone e uno stadio con i posti esauriti, perché questa fusione, questo scambio di ruoli e di immaginazioni, si realizza comunque.
Si capisce bene perché gli orridi maniaci che l’altra sera hanno aperto il fuoco al Bataclan detestino tutto questo: non c’è nulla di più profano, di più promiscuo. E la religione è solo un involucro del loro autentico nocciolo psichico (se è possibile attribuire una psiche a delle bestie assetate di morte), che è il nazismo. Mentre insudiciano il nome del Profeta, che non dovrebbero nemmeno pronunciare, l’idolo che adorano è Hitler. È la nostra storia che può servirci a smascherarli. Le loro adunate sono l’esatto contrario di quello che stava accadendo al Bataclan, e che queste foto così preziose ci mostrano. Loro amano solo il boss di turno che rutta i suoi monologhi, mentre chi lo ascolta grugnisce il suo consenso. I materiali dello scambio sono solo l’idiozia e la malafede.
Dunque noi guardiamo queste foto, questa felicità inconsapevole di essere sull’orlo del baratro, e ci rendiamo conto che la nostra umanità consiste proprio nell’immaginare un modo, una dimensione dell’essere, un incantesimo che faccia proseguire ciò che si è interrotto. Noi accendiamo candele, ed è un gesto nobile e bello; ma è la nostra vita l’unica vera candela che deve bruciare per chi è rimasto a terra.