Corriere della Sera, 17 novembre 2015
La donna appesa nel vuoto ha incontrato Sebastien, quello che l’ha salvata
DALLA NOSTRA INVIATA
PARIGI Ci sono voluti tre giorni, da quella serata d’inferno. Per ritrovarsi, per parlarsi con calma per dirsi grazie. Per dirsi che si è stati anche fortunati, che si è ancora vivi.
Lei è la ragazza vestita di nero e sospesa nel vuoto, immortalata nel video del giornalista di Le Monde Daniel Psenny, simbolo della paura e della forza di vivere, lì appesa disperatamente al davanzale della finestra a quindici metri da terra per salvare se stessa e il bambino nella sua pancia. Lui, Sebastien, non lo avevamo visto: sono quelle due braccia sospese sopra di lei, che sempre nel medesimo video, prima la sorreggono per qualche minuto e poi la sollevano verso l’interno. Da venerdì notte non si sapeva più nulla di lei, inghiottita dalla finestra, finché domenica notte è ricomparsa in un tweet di un amico, Frans Torreele, che chiedeva di far circolare il suo appello: «La donna che avete visto sospesa... desidera ritrovare la persona che l’ha tirata su e così l’ha salvata. Vuole ringraziarla».
In poche ore il fratello di Sebastien, il ragazzo di Arles protagonista di questa storia a lieto fine dentro la tragedia, contatta Frans. Le verifiche, e nel giro di qualche minuto si possono scambiare i numeri di telefono e parlarsi. E poi anche abbracciarsi.
Sebastien era al Bataclan con un amico, Jeff, e l’incontro con la ragazza della finestra non è stato che un momento nella sua serata da incubo. Quando gli spari sono cominciati aveva appena lasciato il bar per andare sotto il palco, e questo lo ha salvato. Chi si trovava al bar, è stato tra i primi ad essere preso a fucilate dai terroristi perché era davanti all’ingresso. «Ho visto un ragazzo davanti a me con una pallottola nella testa», racconta Sebastien al giornale di Arles La Provence. Non sono ancora le dieci. Qualcuno urla che c’è un’uscita di sicurezza dietro il palco, Sebastien cerca, a sinistra niente, a destra c’è una porta ma dà su un locale con una finestra. Si affaccia per capire se è una possibile via di fuga. Sente la donna che urla: «Sono incinta», lei vorrebbe buttarsi sotto, ma è il caos e non c’è nessuno a prenderla. Neppure il tempo di pensare, Sebastien si sposta all’altra finestra si aiuta appoggiandosi all’impianto dell’aria condizionata e la tiene, uno, due forse qualche altro minuto finché lei, stremata, gli chiede di tirarla su.
Sono quelli che, sempre su twitter, Frans Torreele chiama «i piccoli gesti» che l’hanno salvata. È quel gesto di umanità che in una situazione disperata riesce a farti interrompere la fuga perché c’è qualcuno più in pericolo di te. Una volta che la ragazza in nero è in salvo coi piedi sul pavimento, ognuno riprende il suo tentativo di fuga. O quasi. Perché Sebastien si trova la canna del kalashnikov dei terroristi sulla gamba. Condivide la stessa sorte di David, il ragazzo di origine cilena che si vede sempre nel video in piedi sull’altra finestra. Entrambi vengono spinti dentro, sono ostaggi: «Immaginatevi l’impotenza – ha raccontato David Fritz alla tv cilena —. Se avessi avuto un’arma avrei sparato invece di stare lì ad aspettare di crepare davanti a una finestra. Ero arrabbiato anche con il Bataclan perché non c’era l’uscita di sicurezza». Sebastien continua: «Ci hanno urlato: sdraiatevi, eravamo in 15 sulla balconata e loro sparavano su quelli di sotto. Ci dicevano: “Vi facciamo subire tutto quello che gli innocenti subiscono in Siria. Vi facciamo avere la stessa paura e questo non è che l’inizio”». Seguono minuti terribili in cui Sebastien racconta, «chiudevo gli occhi per non guardare in faccia la morte», minuti in cui si passa dalla speranza di farcela all’accettazione che tutto stia per finire, minuti in cui il ragazzo di Arles riesce anche a vedere che il kalashnikov del suo rapitore è tenuto con lo scotch e che non c’è quella cintura esplosiva millantata al telefono con un negoziatore che intanto ottiene una tregua di venti minuti per portare via i feriti. «I venti minuti più lunghi della mia vita». Gli fanno anche bruciare simbolicamente un rotolo di banconote da 50 euro, cercano di coinvolgerlo per la trattativa che vorrebbero cominciare con i poliziotti lì fuori, chiamando anche un giornalista. Poi l’assalto delle truppe speciali, i fumogeni, l’ariete per sfondare.
Sebastien finisce a terra mentre cerca di correre via, gli scarponi dei militari lo calpestano, «il dolore più bello della mia vita», può dire oggi. Sebastien ritrova Jeff e può uscire dal Bataclan. In quei minuti, lì fuori c’è anche Daniel Psenny, il giornalista che con il suo video ha regalato a tutti il gesto di Sebastien. È ferito a un braccio, l’hanno colpito proprio da una finestra, mentre aiutava a trasportare i feriti, subito dopo aver girato l’ormai simbolico filmato.