SportWeek, 14 novembre 2015
Vent’anni di interviste a Gigi Buffon tagliate e rimontate in un unico articolo
Era il 19 novembre 1995. A Parma arriva il Milan di Fabio Capello. L’allenatore emiliano, Nevio Scala, manda in porta un ragazzino di 17 anni. Il suo nome è Gianluigi Buffon e già tutti lo chiamano Gigi. Sono passati 20 anni e quel ragazzino nel frattempo ha vinto tutto con il Parma, la Juventus e la Nazionale. Abbiamo voluto rendergli omaggio andando a rileggere le interviste che ha dato in tutto questo tempo e abbiamo toccato un po’ tutti i temi della sua vita. Il risultato è un Gigi Buffon raccontato da se stesso in un viaggio lungo 20 anni.
La sua è una famiglia dai valori solidi; quali, di quelli che le hanno trasmesso, sente di aver assimilato meglio?
«Onestà e sincerità. I miei genitori mi hanno insegnato parecchio, anche se pure loro hanno detto delle cavolate. Da piccolo spesso non li ascoltavo e mi stavano pure antipatici. Crescendo ho capito che quasi sempre avevano ragione».
(SportWeek, 4-11-2006)
In un’intervista a SportWeek lamentava di aver bruciato le tappe...
«È vero. Ed è vero che per questo ho commesso degli errori di cui però non mi pento, perché mi hanno aiutato a crescere. Sono fiero di averci sempre messo la faccia e trovato la forza per reagire. Se ho fatto del male, è stato solo a me stesso, mai agli altri. E chi ci guarda da lassù, credo che lo abbia sempre saputo: perciò ha messo in pari le cose, aiutandomi a diventare quello che sono».
(SportWeek, 4-11-2006)
Lei è stato anche un tifoso vero.
«Sì, della Carrarese. Stavo spesso a torso nudo, mi faceva sentire più curvaiolo. Ricordo una mitica trasferta a Bologna, quando vincemmo uno a zero. Direi che era la primavera del 1994. Prendo il treno da solo, arrivo allo stadio Dall’Ara, ma finisco non so perché sotto la loro curva, l’Andrea Costa. A questo punto, siccome inizio a credere che tutti mi stiano guardando, penso: forse lo fanno perché hanno capito che dentro il mio zaino ho uno striscione con scritto “Cuit sezione Parma” e, sotto, le firme con i quattro soprannomi di chi l’aveva fatto. Cioè io più tre amici che erano in collegio a Parma con me. Si faceva tutto in camera: telo per terra e via a scriverci sopra con la bomboletta spray».
(SportWeek, 30-10-2010)
Viaggiava spesso da tifoso?
«La mia trasferta più lunga è stata quella di Alzano Lombardo, non tanto per la distanza quanto perché non sapevamo dove fosse lo stadio. Non posso dimenticare lo stupore dei loro tifosi nel vedere me, già professionista, perché parliamo del ’97, con la sciarpa della Carrarese nel loro stadio».
(SportWeek, 30-10-2010)
Quindi quel giorno aveva già debutto in Serie A, era il 19 novembre 1995, a Parma contro il Milan. Le cronache ricordano quattro parate da incorniciare: nel primo tempo su Eranio e su Baggio, nella ripresa su Simone e su Weah.
«Non sono miracoli, ma normali interventi. Il più difficile è stato quello su Baggio, senza dubbio. Ora, però, non devo montarmi la testa, torno nei ranghi e aspetto. E se contro la Juve non giocherò, nessun dramma».
(La Gazzetta dello Sport, 20-11-1995)
Contrò la Juve ci giocò, la domenica seguente (finì 1-1). Ma soprattutto dopo pochi anni si trasferì a Torino. E cominciò un’altra storia. Come definirebbe le tre Juventus di cui ha fatto parte? Cominciamo con la Juve della triade.
«Una corazzata, arroccata nella propria cortina di ferro, inespugnabile».
(Corriere della Sera, 11-05-2012)
Quella di Cobolli Gigli e Blanc.
«Frizzante, piacevole, ma senza la cattiveria giusta».
(Corriere della Sera, 11-05-2012)
Quella di Conte.
«La Juve della rinascita. La più importante delle tre».
(Corriere della Sera, 11-05-2012)
Allora, quanti scudetti ha vinto la Juventus?
«Non parlo della linea della società, mi sembra che tra Juve e Inter siamo ormai a livello di sfottò. Quanto a me, se mi chiedete quanti scudetti ho vinto sul campo rispondo 5, se mi chiedete quanti scudetti sono stati assegnati alla Juventus allora rispondo 3».
(Corriere della Sera, 11-05-2012)
Valeva la pena giocare a Torino in serie B da campione del Mondo?
«Indiscutibilmente sì. Qualche volta questa certezza è vacillata. Certo, alcune conquiste non me le avrebbe mai tolte nessuno, parlo del rapporto con il mondo Juve, società e tifo, per esempio. E l’emblema è stato il comportamento dei tifosi dopo il gol del Lecce e nel riscaldamento di Trieste. Commovente».
(Corriere della Sera, 11-05-2012)
Un gigante come Buffon a volte si commuove?
«Non mi capita spesso. Ma sì, mi sono commosso...».
(Corriere della Sera, 11-05-2012)
Parlavamo del gol subito con il Lecce, una bella papera.
«Di quel gol mi sono rimaste impresse due scene... La prima, mentre stavo a terra mi sono girato e vedevo Bertolacci andare verso la porta con il pallone. Non era reale, mi sembrava di vedere un film. Non una bella sensazione. La seconda, invece, fu il silenzio generale, che è quello che ti ammazza. La gente ci ha messo un attimo a realizzare, e quell’attimo non finiva più. Pensavo: e ora come reagiranno? E a quel punto, passato lo stupore, la reazione dei tifosi è stata fantastica. Commovente, appunto».
(Corriere della Sera, 11-05-2012)
L’esperienza della B nasce da Calciopoli. Come giudica quella sentenza?
«Io penso che nei confronti della Juve ci sia stato un accanimento eccessivo. L’opinione pubblica non vedeva l’ora che fossimo condannati pesantemente: negli ultimi anni i tifosi avversari, più che per le vittorie della loro squadra, hanno gioito per le nostre sconfitte. Le sentenze hanno tenuto conto anche di questo».
(SportWeek, 4-11-2006)
Qual è il suo giudizio su Moggi?
«Bisogna parlare delle persone per conoscenza diretta e io, con lui, non ho mai avuto rapporti stretti. Però ho sempre apprezzato la sua ironia e la sua competenza. Se ha sbagliato, è giusto che paghi. Ma non si può mettere uno alla gogna soltanto per sentito dire».
(SportWeek, 4-11-2006)
Nella Juve tutto è cambiato nel maggio 2011, quando le squillò il telefono...
«Era Antonio Conte, era quello che aspettavo. Mi disse cose belle e importanti. Nella stagione precedente, che era la prima della presidenza Agnelli, nel girone d’andata non avevo giocato per infortunio e nel ritorno non ero io: avevo la testa da un’altra parte. Pensavo che fosse giunto il momento di cambiare, di lasciare la Juve. Io ho sempre avuto un grande senso di responsabilità: beh, l’avevo smarrito. Poi, io e i nuovi dirigenti ci siamo conosciuti bene e sono cambiati i loro giudizi su di me. Avere la maturità di ricucire i rapporti dopo alcuni screzi ti unisce ancora di più».
(La Gazzetta dello Sport, 26-8-2013)
Nella storia di Buffon è stato fondamentale il rapporto con la Nazionale. E il Mondiale vinto a Berlino. Nel libro Il gioco delle idee Lippi ha raccontato che prima della finale tenne a voi giocatori un discorso sulla morte. Ricorda?
«Sì, il mister è uno che spesso e volentieri a parole va nel profondo, e in Germania era talmente ispirato che parlava per parabole: sembrava un apostolo... e noi rimanevamo molto colpiti».
(SportWeek, 5-06-2010)
La partita degli azzurri che le ha regalato la più grande emozione da spettatore?
«La prima che mi viene in mente è Italia-Nigeria del ’94: il pareggio di Baggio a due minuti dalla fine, il suo rigore del 2-1 ai supplementari, il finale 9 contro 11...».
(SportWeek, 5-06-2010)
La Nazionale che porta più nel cuore?
«Quella del 2006, è normale: allenatore fantastico (Lippi) e compagni con i quali giocavamo insieme da sempre, fin dalle rappresentative giovanili».
(La Gazzetta dello Sport, 5-9-2013)
È anche la più forte?
«A livello individuale, erano forse migliori le squadre del 2002 e del 2004».
(La Gazzetta dello Sport, 5-9-2013)
E lei quando lascerà la Nazionale?
«A volte mi sono sentito quasi in imbarazzo, perché in questi 16 anni di Nazionale tanti altri bravi portieri non hanno di fatto avuto spazio per colpa mia. Però, ho la fortuna di far parte dell’élite del calcio e io credo che non si debba chiudere la porta in faccia a un dono così raro. Rifiutare una chiamata dell’Italia equivale a sputare su una fortuna, su qualcosa di irrinunciabile. Sarebbe come una specie di diserzione».
(La Gazzetta dello Sport, 5-9-2013)
Ha mai avuto problemi con la stampa?
«Beh, per qualcuno di voi ero finito...».
(La Gazzetta dello Sport, 24-12-2011)
È per questo che negli ultimi tempi l’abbiamo vista un po’ più fredda nei confronti dei media?
«Io sono così, mi conoscete, non riesco a fingere. In quei sei-sette mesi difficili ho sentito cose che mi hanno ferito. A parte rarissimi casi, ho subito gravi mancanze di rispetto da parte di gente che non ha avuto il minimo riguardo della storia, della mia carriera. Mi hanno di fatto dato per finito, senza considerare cosa avevo subito, senza concedermi fiducia e il giusto tempo per recuperare. Assurdo, certi valori non possono mancare, a prescindere se uno mi vuole bene oppure male. La storia non deve e non può essere cancellata, mai. A certa gente dico che fra 50 anni, nonostante il brutto periodo che ho appena passato, probabilmente si parlerà ancora di Buffon. E questo vuol dire che qualcosa ho fatto. Sono solo dei pezzenti quelli che non hanno avuto riguardo per la mia storia...».
(La Gazzetta dello Sport, 24-12-2011)
La gara che non dimenticherà mai?
«Germania-Italia, semifinale mondiale 2006, poi Juventus-Real 3-1 (rigore parato a Figo, ndr), semifinale di Champions 2003. Infine, la Coppa Uefa 1999 nel Parma, col 6-0 nei quarti rifilato al Bordeaux e il 3-0 in finale al Marsiglia».
(La Gazzetta dello Sport, 24-12-2011)
Il più bel gol che le hanno fatto?
«Il pareggio di tacco di Ibrahimovic all’Europeo del 2004».
(SportWeek, 5-06-2010)
La peggiore papera?
«In Under 21 a Bristol contro l’Inghilterra. Il terreno era viscido e per evitare un calcio d’angolo sono andato in tuffo. Io sono uscito dal campo e la palla è rimasta lì. Gol regalato e 1-0 per loro».
(SportWeek, 5-06-2010)
La colonna sonora della sua vita?
«Non ho dubbi: Ragazzo fortunato di Jovanotti. Ha un gran ritmo, e mi riconosco nel testo. Soprattutto in queste parole: “Sono un ragazzo fortunato perché m’hanno regalato un sogno... e quando viene sera e tornerò da te è andata come è andata la fortuna di incontrarti ancora. Sei bella come il sole a me mi fai impazzire...”».
(IO Donna, 12-06-2010)
Il film preferito?
«Le ali della libertà, con Tim Robbins e Morgan Freeman: la libertà è il nostro bene più prezioso. Non potrei vivere senza». (IO Donna, 12-06-2010)
Fa qualche collezione?
«Adoro il Subbuteo, ho 500 squadre che occupano parecchio spazio, anche se in genere le tengo chiuse nelle loro scatole. Lascio schierate in bella vista soltanto Italia-Camerun».
(IO Donna, 12-06-2010)
Ha anche scritto un libro in cui diceva: «Sono caduto in depressione».
«Avevo 26 anni, ero già affermato, forse non ero appagato sentimentalmente, ma i veri motivi non li ho ancora capiti. Era terribile. Una volta, prima di una partita contro la Reggina, mi prese una crisi di panico. Durante il riscaldamento chiesi all’allenatore di non giocare, di far scaldare un altro portiere. Lui si scaldò, io lo guardavo e capii che avrei creato un precedente dannoso. Sono andato in campo, anche questo mi è servito».
(La Gazzetta dello Sport, 29-11-2008)
Una “storia nera” da cancellare?
«Premessa: tutte le disavventure che ho avuto, alcune cercate con consapevolezza, se vogliamo, le ho sempre pagate, ci ho messo la faccia. Però ne vorrei cancellare una, quella del diploma comprato: fu un gesto di slealtà nei confronti degli altri e io di solito sono molto leale. Anche nei confronti dei miei genitori, che sono pure professori: il figlio che compra il diploma non è proprio il top».
(La Stampa, 13-11-2008)
Come uomo, rispetto a dieci anni fa, quanto è migliore?
«Non so se lo sono, perché la vita ti imbastardisce. Sono meno impulsivo, questo sì».
(SportWeek, 20-10-2007)
Per Emilio Fede scommettere era una ragione di vita. Per lei invece?
«Un piacere. Le persone molto famose e che convivono con la loro notorietà hanno bisogno di costruirsi una nicchia nella quale non fare entrare nessuno e passare il tempo divertendosi. Per quattro-cinque anni, per me è stato così. Non mi sono mai accorto di aver speso tanto: non scommettevo soltanto, c’erano slot machine, black jack, tombola, scacchi. Ho buttato i miei soldi in quelle minchiate lì, cinquecento-mille euro al giorno, ma non ho mai fatto i conti». (SportWeek, 4-11-2006)
Entrerà mai in politica?
«Si dice che in politica anche un angelo diventi una puttana. Ebbene, questa figura proprio non mi piace, non fa per me».
(La Gazzetta dello Sport, 24-12-2011)
Sono ormai tanti anni che lei è definito da giornalisti, allenatori e colleghi il migliore portiere del mondo. È d’accordo?
«Penso che la carriera di ognuno parli di più che mille parole, quindi se dicessi di no sarei bugiardo. E anche un po’ stupido».
(SportWeek, 5-6-2010)
Il Pallone d’oro sarebbe la giusta ricompensa per il
suo lavoro?
«Sì».
(SportWeek, 4-11-2006)