La Lettura, 15 novembre 2015
Teorie sull’ordine e sul disordine
Nell’eterna lotta tra ordine e caos c’è finalmente un vincitore: il riordino. La legge delle vendite parla chiaro, il libro Il magico potere del riordino, edito da Vallardi, sbaraglia la concorrenza. Il manuale di Marie Kondo è uno dei bestseller dell’anno: in Italia ha venduto 250 mila copie, giunto alla 17ª edizione è tuttora in classifica. L’autrice, giapponese, si presenta come consulente domestica («quasi ogni giorno visito le case e gli uffici di clienti incapaci di riordinare») e insegna in 65 regole il suo metodo, denominato KonMari, che – per farla breve – prevede di liberarsi di un sacco di cose in un colpo solo, anziché di un pezzettino al giorno.
Al netto di benefici pratici («la quantità di cose che finora sono riuscita a far buttare ai miei clienti – da abiti e biancheria intima a foto, penne, ritagli di giornale e piccoli oggetti come campioni gratuiti di cosmetici – supera il milione di pezzi», dichiara orgogliosa), la categoria del riordino esce dalla sfera della vita domestica per entrare in quella delle realizzazioni personali, delle scelte di vita. Tanto più adesso che sugli scaffali è arrivato Il dolce potere del disordine (Bompiani), libro che rilancia con decisione la forza creativa del caos.
Ne è autrice Anne Marie Canda, pseudonimo che fa il verso alla teorica del riordino. Di Canda si sa soltanto che è una scrittrice con una sapienza orientale: una penna moderna e ben affilata, la punta rivolta verso la rivale. In attesa di un conforto dalle vendite, Canda non rinuncia a colpi bassi: «È lo stesso verbo “riordinare” che inganna – scrive —. Sì, perché lascia presupporre che esista un ordine al quale ritornare; vale a dire un ordine pre -esistente». E poco dopo aggiunge: «In natura non esiste alcun ordine precostituito», «la natura è caos»; e, ancora, «l’ordine naturale delle cose è il disordine». Il volume appare un divertissement, un’opera scritta a tavolino per smontare le «virtù» del metodo di Kondo.
Passando senza soluzione di continuità dai concetti di «ordine» e «disordine» a quelli di «ordinario» e «straordinario», Canda osserva che «non vi è nulla di ordinario nel decorare le metope e il frontone del Partenone, nell’affrescare la Cappella Sistina, dipingere la Gioconda, comporre la Quinta o il Requiem in re minore, scrivere l’ Iliade, la Divina Commedia e l’ Amleto». Ecco d’un colpo messi al servizio della causa del disordine i geni dell’umanità: Fidia, Michelangelo, Leonardo, Beethoven, Omero, Dante e Shakespeare. Manca soltanto Albert Einstein anche se, al riguardo, il suo look spettinato e la celebre fotografia in cui fa la linguaccia non lasciano dubbi sul suo ruolo di testimonial dei disordinati. Del resto il papà della teoria della Relatività sul tema aveva già preso posizione: «Se una scrivania in disordine è segno di una mente disordinata, di cosa sarà segno allora una scrivania vuota?».
E proprio da questo interrogativo sono partiti i ricercatori della Carlson School of Management dell’università del Minnesota Kathleen D. Vohs, Joseph P. Redden, Ryan Rahinel per misurare se e quanto una stanza in disordine stimoli ad andare oltre le regole e a essere creativi. La risposta trovata è che: sì, in un ambiente caotico e disordinato vengono più idee e anche più originali.
La sociologa Sabina Curti ricorda che ordine e disordine, declinati in chiave sociale, sono temi centrali nelle scuole sociologiche del Novecento. La studiosa sta portando avanti una ricerca su folla e polizia, agenti sociali riconducibili rispettivamente a caos e ordine. «La folla, intesa come gruppo di persone che stanno nello stesso momento e nello stesso luogo, ha un carattere di imprevedibilità, ma rappresenta anche la prima forma di raggruppamento sociale. È uno stadio della vita sociale che può sia progredire che regredire secondo i casi» osserva Curti, ricercatrice di Sociologia giuridica, della devianza e del mutamento sociale all’Università di Perugia. «Il mantenimento dell’ordine – aggiunge – presuppone l’accettazione di un po’ di disordine: azione e reazione sociali sono il risultato di una dinamica in cui entrambi gli attori sono inseriti».
Paolo Costa, ricercatore in Filosofia alla Fondazione Bruno Kessler di Trento, autore de La ragione e i suoi eccessi (Feltrinelli) parte dalla biologia: «Darwin con la teoria dell’evoluzione ha messo le cose a posto offrendo una spiegazione razionale di cosa siamo». Costa che si occupa di religiosità contemporanea nelle prospettive filosofica e teologica non è affatto sorpreso che il riordino sia diventato una sorta di moderno credo («l’idea di mettere le cose a posto ha molta presa»), ma è preoccupato di una possibile deriva contemporanea: la semplificazione. «Eliminare alcuni aspetti rende la realtà meno complessa. Pensiamo ai vegetariani o ai vegani che eliminano dalla loro alimentazione intere categorie di cibi. Usando lo stesso metro con il pensiero, a furia di togliere ci troveremmo impoveriti, invece ci piace molto afferrare la pienezza di un ragionamento, coglierne la complessità».
Alessandro Pluchino, fisico e docente al Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Catania invita a pensare a uno stadio di calcio dove se si è fortunati si può assistere a una bella partita e dove in tempo reale si può vedere il caos che diventa ordine. «Si resta incantati per ciò che succede sugli spalti, ciascuna tifoseria si muove compatta; quando poi si fa la “ola” il pubblico diventa un unico grande organismo. Quello – spiega lo scienziato – è un sistema dinamico in cui gli individui, gli atomi sociali, hanno un comportamento più vincolato di quello del sistema complessivo; il singolo ha minore libertà di quella che ha il gruppo».
Una delle acquisizioni più recenti della scienza della complessità, disciplina che studia i sistemi complessi e che cerca di trovare modelli che valgano nel mondo fisico, biologico e sociale, è che «il disordine non è in sé qualcosa di negativo» spiega l’esperto che aggiunge: «Un po’ di disordine fa bene al sistema, perché lo rende dinamico e lo spinge a nuovi adattamenti». Di fatto, per la gioia di Kondo, è come se si passasse dall’ordine, al caos e al riordino.
Pluchino, che ha appena pubblicato per Malcor D’ edizioni, La firma della complessità. Una passeggiata sul margine del caos, aggiunge che «le regole cercano di stabilizzare un sistema, ma c’è un livello, una soglia critica, oltre la quale non andare». Il segreto è proprio stare al confine tra ordine e disordine facendo prevalere il primo ma senza allontanarsi troppo dal secondo. Che poi era la morale della favola di Anne Tyler, Principessa del disordine (Guanda): Clementina Disordinatina vive in un palazzo perfetto e ordinato, tranne la sua stanza dove nessuno si sogna, lei per prima, di riordinare. E sarà proprio quell’angolo di disordine necessario a salvare il regno.