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 2015  novembre 16 Lunedì calendario

Breve e caleidoscopica vita di Mata Hari, sublime dilettante e inguaribile bugiarda

L’Ottocento si spinge molto in là, fino al 1917, quando si chiude un’intera epoca e ha inizio il secolo breve. In quell’anno formidabile scoppia la Rivoluzione russa, e proprio nell’ottobre viene fucilata Marguerite-Margaretha Geertruida Zelle, in arte Mata Hari, condannata a morte per spionaggio da un tribunale francese. Le prove a suo carico erano inconsistenti ma nella Parigi assediata dall’esercito tedesco occorreva un capro espiatorio di forte valenza simbolica.
Giuseppe Scaraffia, studioso di letteratura francese, si svela in questo “Gli ultimi giorni di Mata Hari” (Utet) come uno straordinario regista, costumista e scenografo, capace di animare un teatro coloratissimo e picaresco, affollato di personaggi, noti e meno noti. La vicenda precipita dentro quella scena ultima della fucilazione, che lei seppe interpretare in modo impareggiabile, rifiutando la benda – perché il suo nome significa “luce dell’alba” – dicendo “Monsieur, vi ringrazio”, e sperando che l’avrebbero risparmiata (per scongiurare tale evenienza i soldati semplici del plotone di esecuzione vennero sostituiti con più affidabili sottufficiali).

SVENEVOLEZZE
Scaraffia registra accuratamente le reazioni alla sua morte del bel mondo e di tutti quelli – scrittori, musicisti, militari, ricchi borghesi, etc. – che in qualche modo ebbero una relazione con lei, o che immaginarono di averla, o che furono comunque sfiorati dalla sua leggenda. Il catalogo è variegato. Sfilano davanti ai nostri occhi il cocainomane D’Annunzio rifugiatosi nella Casetta Rossa sul Canal Grande, un Hemingway sbruffone ai Caraibi, Céline che si innamorò di una prostituta, Colette che avrebbe voluto spogliarsi di fronte a un pubblico (proprio come lei), Arthur Conan Doyle fedele al metodo deduttivo ma attratto dal soprannaturale, D.H. Lawrence e Lawrence d’Arabia (singolarmente sgraziato nel fisico), Debussy (lei aveva ballato in un film al ritmo di un suo brano), il “patriota” violento Bernanos, il sorridente ed esotico Pierre Loti, il Proust dalle più atroci perversioni, Virginia Woolf sprezzante e instabile mentalmente, Marinetti avverso alle svenevolezze della Belle Epoque, alla sintassi e alla lentezza…

LE ADULAZIONI
Scaraffia è un ritrattista dalla mano sicura, affascinato dai personaggi che ritrae. Mi soffermo solo sul bello e ombroso dandy Robert de Montesquiou, sarcastico e intelligentissimo. Ma non intelligente al punto da evitare di farsi ammaliare dalle “ingegnose adulazioni” di D’Annunzio. Ah, questi fragili dandy… Ci voleva un Thomas Mann per individuare nell’inesauribile Vate, accanto a innegabili doti letterarie, un “buffone d’artista” e “pallone gonfiato avido di ebbrezza”.

LA VITA
Mata Hari nata nel 1876, in Olanda, si era sposata il capitano MacLeod, di 20 anni più anziano, e con lui aveva vissuto a Giava, per poi divorziare e tentare l’ascesa sociale nella tentacolare Parigi.
Ma qual era la sua autentica vocazione artistica? Mata Hari potrebbe evocarci alcune star e icone mediatiche del nostro tempo (per carità di patria non faremo nomi…) almeno su un punto: non disponeva di alcun talento (restò sempre una sublime dilettante: “non sapeva quasi danzare”, annotò Colette) eppure ebbe un successo strepitoso. Come mai?
Il suo successo è intessuto di sofisticate bugie e, diremmo oggi, di una accorta gestione dell’apparenza (si dichiarava figlia di un sacerdote indiano e diceva di essere cresciuta in un tempio di Shiva). La seduzione è fatta di menzogna e sortilegio, e consiste in una recita sapiente, in un gioco ambiguo, eseguito però con leggerezza e passione. La sua recita arrivò fino alle aule dei tribunali (dove era avvolta in un vestito blu notte che lasciava nude le spalle) e appunto davanti al plotone che dovette fucilarla, e i cui membri il suo amante, il capitano Robert de Klingham, agente del controspionaggio di raffinate letture, tentò vanamente di corrompere uno ad uno.

LA FINE
Da queste pagine – quasi una divertita introduzione pop alla letteratura francese (e non solo) tra Otto e Novecento – si sporge una società di ufficiali, aristocratici, prostitute, artisti, etc. tutti impegnati a costruirsi una automitologia e a recitare bene la propria parte in un’opera buffa e tragica. Eppure Mata Hari con le sue spudorate bugie e con la sua fantasiosa messinscena ci aiuta a vedere meglio le bugie su cui era costruito un mondo intero, destinato di lì a poco a finire – come scrisse un classico – non con uno schianto ma con un piagnisteo.