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 2015  novembre 15 Domenica calendario

«Se per una coppia felice nulla è più pericoloso di un bambino». Fabio Volo parla del suo nuovo romanzo "È tutta vita”. Racconta che prima di scriverlo ha fatto delle ricerche e ha scoperto che il primo anno del figlio è quello con la più alta percentuale di tradimento

Torna l’alter ego di Fabio Volo nel romanzo È tutta vita (Mondadori). Nicola (nei libri precedenti Lorenzo, Michele, Francesco), rimasto ostinatamente ragazzo fino a quarant’anni, qui finalmente cresce. E insieme a lui cambia la scrittura dell’autore. Come se davvero per entrambi fosse una nuova fase della vita, che inizia con una scoperta: per una coppia felice nulla è più pericoloso di un figlio, l’incipit del romanzo, e forse dell’età adulta.
Cosa succede in una coppia quando nasce un bambino?
«Può succedere di tutto. Ci sono equilibri su cui la coppia si appoggia che saltano. Come degli organi, come delle ossa, la coppia è una struttura che si muove e rischia di zoppicare finché non trova un nuovo assetto».
Nel romanzo il prima e il dopo sono ben distinti, qual è la differenza?
«Prima c’è il divertimento, il romanticismo, l’amore ideale. La libertà assoluta, svegliarsi e dire: oggi vado a Barcellona».
Il picco di vitalismo di Nicola è in sala parto dove – confessa a un amico – si eccita con le urla della moglie in travaglio.
«Vuole sapere se è successo anche a me? Un po’ sì».
Bene. E dopo?
«Fino alla sala parto è ancora Siamo noi più uno. Poi no. Come un trasloco: devi ridefinire i confini. Nicola dice riferendosi al figlio: “Ormai il mondo apparteneva più a lui che a me”».
Davvero il mondo appartiene più al bambino?
«È una fase, l’inizio. Come un individuo deve cambiare per diventare una coppia, così una coppia deve cambiare per diventare una famiglia. Sono mutamenti che possono essere dolorosi».
Una delle proteste di Nicola è «Mick Jagger non va all’Ikea con sua moglie». Un figlio costringe a riformulare il rapporto tra reale e ideale?
«Tutti abbiamo il vestito da supereroe nell’armadio, non lo proviamo mai col dubbio: e se non fosse mio? Così rimane la speranza. Più avanti, con gli anni e con la pancia, capisci che no, non è tuo».
Prima di un figlio è più semplice essere Mick Jagger?
«Pensi ancora che potresti esserlo».
Cosa non vuole perdere Nicola?
«La vita prima del figlio. Le uscite con gli amici, i viaggi, persino le ragazze che ha lasciato, c’è un momento in cui sente di aver perso tutto questo, e gli pare una perdita irreparabile. Ma non è così: l’amico gli ricorda che non ne poteva più di quella vita, si annoiava».
Tutti i suoi personaggi tentano di prolungare la giovinezza il più possibile. Perché?
«Una vedova mi ha raccontato che da qualche mese usciva con un coetaneo. Andavano a cena, avevano rapporti sessuali. Lei avrebbe voluto di più, lui si è ritratto: “Non mi sento ancora pronto per una relazione stabile”. Aveva settant’anni. A settant’anni non ci sentiamo pronti».
È un problema degli uomini?
«I maschi faticano di più a uscire dalla comfort zone, dove uno risponde solo dei propri bisogni, mangi quando vuoi, esci e rientri all’ora che ti pare. Se ti va, la domenica puoi stare a letto tutto il giorno».
Nicola è un suo alter ego ma non è esattamente lei, in cosa è diverso?
«Lui ha una percentuale più alta di immaturità. Poi lo so che i lettori m’identificano con i miei personaggi».
Sbagliano?
«Tutti i libri, tutte le storie che racconto, si basano sulla mia esperienza, anche il romanzo con protagonista femminile. Non mi viene da pensare una storia postatomica, penso a cosa succede nel quotidiano. Sono io nel quotidiano, ma un io esasperato, che quindi genera conseguenze molto differenti da quelle che vivo io nella realtà».
In «È tutta vita» la sua compagna sarà identificata con Sofia, la moglie di Nicola, lo sa?
«Ce lo siamo detti: ma non ti scoccia che io sia la rompicoglioni e tu lo sfigato?».
Vi scoccia?
«No».
Claudio Giunta – normalista, filologo medievista, tra i più importanti studiosi di Dante – nel libro «Sterminata domenica» (Il Mulino), di lei scrive: «È sano, è saggio, è una persona evidentemente retta». Nicola è meno saggio di lei?
«Nella prima versione avevo messo che la ex gli propone di andare a Berlino insieme, e lui tentenna. Poi l’ho tolto, mi sembrava troppo. Nicola è più confuso, diciamo».
Fabio Volo invece?
«Se ho un progetto, e per me la famiglia lo è, è un progetto prezioso, m’impegno, perché so che quando arrivo là è tutta vita».
E Nicola lo sa?
«È più resistente al cambiamento».
A un certo punto però c’è il momento della consapevolezza, quand’è che uno si sente davvero padre?
«Quando ti mettono in braccio il bambino appena nato, potrei scrivere mille pagine... come tenerlo, la posizione della testa, devi girarlo o no, pancia sotto o pancia sopra, è una cosa piccola, un giocattolo, ma capisci subito che tra le braccia stavolta hai un giocattolo importante».
È il primo momento di consapevolezza?
«No. Il primo momento è quando arriva qualcuno che ti dice: lei è il padre?».
Quello che lei racconta è la necessità di accettare il cambiamento?
«Oggi solo chi riesce a cambiare sopravvive. Prima era diverso. Mio padre è nato e morto a Brescia. Aveva quella casa, e quel negozio».
La nascita di un figlio rivoluziona tutto, persino il rapporto con i propri genitori, in che modo?
«Sistema le cose lasciate in sospeso».
A lei è successo?
«Nei film e nei libri oggi io m’identifico nel padre, non più nel figlio. Sono un padre, e capisco meglio mio padre. Mi ci arrabbio anche. Mio padre è entrato in ospedale il giorno dopo la nascita di mio figlio, è morto senza conoscerlo».
Nel romanzo anche Nicola si confronta con un padre che non c’è più.
«Un padre che non è stato compagno di giochi. Un po’ come il mio. Appena ti nasce un figlio pensi subito che riparerai alle mancanze della tua infanzia, la bicicletta che non ti hanno comprato».
Bicicletta che lei comprerà ai suoi figli?
«Già comprata».
Nel romanzo Sofia dice: «È sempre lo stesso giorno».
«Il neonato ti costringe alla ripetizione delle azioni, pannolini, latte, bagnetto. E per la donna è anche peggio, la donna ha la sensazione che non le venga riconosciuto quello che fa».
La donna si occupa del figlio escludendo il compagno: è questo che mina il rapporto di coppia?
«A me dicevano: coi figli piccoli la vita sessuale finisce. Per scrivere il romanzo ho fatto delle ricerche, il primo anno del figlio è quello con la più alta percentuale di tradimento».
Cambia davvero la vita sessuale?
«Non è quello il problema».
Qual è allora?
«C’è uno spettacolo giapponese dove un samurai in ventiquattr’ore, attraverso micromovimenti, arriva dall’altra parte del palco senza che tu te ne accorga».
Lei se n’è accorto?
«Sì».
Nicola?
«Nicola no, lo capisce più tardi».
Superata la crisi, Nicola e Sofia potrebbero fare altri figli?
«Un altro, secondo me».
E lei?
«Altri dieci».
La sua compagna è d’accordo?
«Lei è islandese. L’Islanda è il primo Paese per parità tra maschi e femmine. Lì i bambini a otto anni si fanno la lavatrice da soli. Questo è il detersivo, questo è il pulsante...».
Lei lo ha fatto da bambino?
«Io? Io avevo trent’anni, vivevo a Milano, e mia madre mi diceva: quanto torni, porta le cose sporche che te le riporti su pulite».
Già sa quindi che i suoi figli saranno bambini diversi da come è stato lei?
«Già so che in casa mia le parole arriveranno dopo, per esempio. Parliamo tre lingue. Per ora il grande, due anni, dice dieci parole in inglese, cinque in islandese, due in italiano».
Quali in italiano?
«Cacca e Heidi».