Corriere della Sera, 16 novembre 2015
Putin e Obama costretti a mettersi d’accordo per farla finita con l’Isis
DAL NOSTRO INVIATO
ANTALYA (Turchia) Dopo essere stato per quasi sette anni un «guerriero riluttante», costretto a combattere in Afghanistan, Iraq e Siria dopo aver promesso di tirare fuori l’America da un decennio di guerre, Barack Obama forse passerà il suo ultimo anno alla Casa Bianca nella veste di «alleato riluttante» di un partner, Vladimir Putin, che disprezza, ricambiato. Ma che è essenziale per cercare di avviare a soluzione la guerra civile siriana e provare a decapitale l’idra del terrorismo jihadista dell’Isis.
Due mesi fa il vertice Obama-Putin all’Onu che aveva interrotto quasi due anni d’incomunicabilità tra i due presidenti, non era stato di certo un successo, col Cremlino che subito dopo lanciò una campagna di bombardamenti in Siria attaccando i ribelli anti Assad anziché l’Isis. Il gelido minimalismo della Casa Bianca («incontro costruttivo») serviva a nascondere la vera natura di un vertice voluto soprattutto per scongiurare incidenti tra forze militari Usa e russe nell’area.
L’incontro di ieri tra Obama e Putin al G20 di Antalya, in Turchia, benché apparentemente casuale e svoltosi in circostanze quantomeno strane – ripreso a distanza dalle telecamere col presidente Usa accompagnato solo da Susan Rice e Putin con a fianco il suo interprete al quale si è affidato anche il leader americano – è stato invece interpretato in modo molto positivo tanto dalla Casa Bianca quanto dal Cremlino. Che, curiosamente, hanno usato espressioni molto simili per descrivere l’intesa raggiunta. In sostanza a differenza di due mesi fa, quando tutti erano contro il «Califfato» islamico ma ognuno andava per la sua strada, ora c’è la cornice disegnata a Vienna: un’intesa fragile ma che per la prima volta individua un percorso politico verso una tregua, elezioni e un nuovo governo a Damasco. I massacri di Parigi, la consapevolezza che se non si interviene è la nostra stessa civiltà che rischia grosso, hanno certamente accelerato il processo diplomatico, ma ora alla Casa Bianca pensano che sia stato lo stesso Putin, muovendo i bombardieri, a rimettere in moto la situazione, ma non nella direzione da lui desiderata.
Muovendosi per difendere il regime di Damasco, Putin è diventato l’attore principale della crisi siriana. Washington dapprima ha cercato di impedire il ponte aereo russo chiedendo ai suoi alleati nell’area di proibire il sorvolo del loro territorio ai cargo del Cremlino. Poi ha condannato i bombardamenti (diretti contro i ribelli anti Assad, non contro l’Isis).
Ieri, però, Obama, dopo essersi detto d’accordo con Putin sulla necessità di procedere a tappe forzate verso la pacificazione della Siria seguendo la strada indicata a Vienna, ha per la prima volta espresso apprezzamento per gli attacchi russi in Siria, anche se ha auspicato che il Cremlino li indirizzi maggiormente contro l’Isis (che il presidente ha chiamato Daesh, in omaggio agli alleati arabi che preferiscono questa sigla non volendo sentir parlare di Stato islamico). Perché questa apertura inattesa? E perché nel colloquio di 35 minuti la questione dell’Ucraina è stata appena sfiorata con Obama che è tornato a chiedere il rispetto degli accordi di Minsk?
Perché la Casa Bianca ha la sensazione che, dopo l’esibizione muscolare dei giorni dell’Assemblea generale dell’Onu, Putin si sia rapidamente reso conto dei limiti della campagna militare in Siria, visto che ogni fazione mantiene solidamente il controllo del suo territorio. Ben Rhodes, braccio destro di Obama per la politica estera, l’ha spiegato in un briefing: «Dopo Parigi ci aspettiamo un raddoppio degli sforzi sul campo contro l’Isis. I francesi faranno di più. Ma la chiave rimane l’addestramento delle forze locali capaci di difendere la Siria quando il Paese avrà un nuovo governo». Insomma, niente intervento con truppe di terra Usa. Sul campo ci si attende che siano i Paesi arabi sunniti a fare di più (ieri Obama ha incontrato il re saudita), ma mai come oggi è concreta la possibilità di reagire alle stragi rimettendo in moto la soluzione politica.