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 2015  novembre 16 Lunedì calendario

Bruxelles. Nel ghetto di Molenbeek, centomila abitanti, quasi il 50% di musulmani, una ventina di moschee, un tasso di disoccupazione del 40% fra i 18 e i 25 anni e, soprattutto, un numero crescente di ragazzi pronti ad andare a combattere in Siria.

DALLA NOSTRA INVIATA
BRUXELLES Ahmed dice che «non c’era nemmeno da chiederselo». Mentre le televisioni mandavano in onda l’orrore della notte parigina lui ha detto a sua moglie «vedrai che verranno a cercarli qui un’altra volta».
Lo sanno tutti. Quando i servizi di sicurezza danno la caccia ai terroristi o ai loro fiancheggiatori nel centro Europa – soprattutto fra la Francia e il Belgio – piombano qui a decine. Qui. Nel quartiere di Molenbeek, centomila cittadini formalmente di Bruxelles ma nei fatti lontanissimi dai fasti e dalle istituzioni della capitale belga. Un ghetto, più che un quartiere. Che conta quasi il 50% di musulmani, una ventina di moschee, un tasso di disoccupazione del 40% fra i 18 e i 25 anni e, soprattutto, un numero crescente di ragazzi (nessuno saprebbe quantificarlo) che guardano all’Islam radicale e che partono per andare a combattere in Siria.
«Io so di almeno una ventina di famiglie di Molenbeek che hanno figli combattenti in Siria» ammette El Khannouss Ahmed, deputato nonché assessore responsabile della sicurezza del quartiere che ieri pomeriggio era molto indaffarato con i parenti di uno degli arrestati belgi, sbalorditi dalle accuse e dal fermo e venuti a chiedergli aiuto. «Vedrete che si chiarirà tutto, cercatevi un buon avvocato» ha provato a consolarli lui. Inutile. Loro agitatissimi, lui in imbarazzo.
Quell’uomo, l’arrestato, è l’ennesimo della lista per Molenbeek. Avrebbe a che fare con la carneficina di venerdì sera e non sarebbe l’unico perché altri dei terroristi di Parigi (forse altri tre) facevano base qui, fra i bar frequentati esclusivamente da uomini che sorseggiano té alla menta e le strade piene di negozi dalle scritte doppie, arabo e francese. I nomi di jihadisti che vengono da Molenbeek o che qui farebbero proselitismo e base operativa per la raccolta delle armi, sono nell’inchiesta sulla strage di Charlie Hebdo, sono legati al killer dell’Hiper Cacher, sono quelli dei due terroristi uccisi a Verviers (in Belgio). Anche Ayoube El Khazzani, quel ragazzo che sognava la strage e che è stato bloccato da due americani sul treno Thalys diretto a Parigi, pochi mesi fa, aveva legami con Molenbeek. E poi l’attentatore del museo ebraico di Bruxelles, nel 2014... La lista diventa sempre più lunga man mano che gli investigatori internazionali incrociano i dati delle inchieste sui vari attacchi terroristici in Europa. E Molenbeek ne esce sempre peggio. Finora niente è servito a niente, al punto che il ministro degli Interni ieri ha annunciato che si occuperà personalmente del quartiere «vista l’inutilità delle attività delle forze di polizia e dei servizi segreti».
«Non esageriamo» frena Ann Gilles Goris, assessore all’assistenza sociale che compare in piazza – davanti al commissariato di polizia perennemente transennato – per pregare tutti di «considerare gli abitanti onesti» e il fatto che «in questo posto si vive in povertà, noi non abbiamo soldi per intervenire né per tenere sotto controllo un flusso incessante, enorme, di persone che vanno e vengono. Stanno qui pochi giorni e poi spariscono».
Karim El Hassan passeggia nervosamente nella piazza della chiesa di San Giovanni Battista. Vede giornalisti ovunque e si arrabbia: «È inutile, tanto scriverete che qui c’è la scuola jihadista qualunque cosa vi diremo. Crede che sia divertente passeggiare e sentire addosso gli occhi della gente che pensa: quello è un terrorista?». Le donne, quasi tutte con il velo, passano veloci e dribblano le domande. Si ferma incerta soltanto Fatima: «Non c’è famiglia che non abbia un parente in Siria o pronto a partire» rivela a voce bassa. «La cosa assurda – dice – è che da qui i ragazzi partono con l’idea di andare ad aiutare i siriani e invece dalla Siria arrivano per farci saltare in aria».
Nessuno ammette di conoscere estremisti del quartiere. Soltanto il proprietario della macelleria islamica di via Rue de Ribaucourt dice che forse sì ha visto qualche volta il tizio arrestato sabato sera vicino alla stazione del metrò di Osseghem, collegato al massacro di Parigi. Lo ricorda perché lo salutava calorosamente e quello niente: tirava dritto «forse infastidito perché io non porto la barba, come fanno gli estremisti...».
Nella piazza alle spalle del commissariato c’è il mercato. El Asri Bekai è alto, vecchio, con la barba bianca. Viene dal Marocco e vive da 40 anni a Molenbeek, dice che «una volta eravamo felici. Adesso dire Molenbeek è come dire covo di terroristi». Il vento fa volare da una bancarella un foglio di giornale. Il titolo riguarda la notte di sangue di Parigi, è fra virgolette e dice: ho paura di avere paura. Il vecchio dalla barba bianca lo legge e scuote la testa: «Ecco. Anch’io ho paura di avere paura».