Corriere della Sera, 16 novembre 2015
Storia di Ismail Omar Mostefai, quello che s’è fatto saltare dentro il Bataclan, il primo shahid della storia di Francia
DAL NOSTRO INVIATO La domanda del sindaco Jean Pierre Gorges rimane senza risposta. I concittadini intorno a lui annuiscono, e allargano le braccia, come a scusarsi.
Siamo davanti a un piccolo appartamento, definirlo villetta a schiera sarebbe troppo, in rue Anatole France. È una casetta bianca, una stretta porta d’ingresso, due finestre, un cortile sterrato. L’ultimo domicilio conosciuto di Ismail Omar Mostefai, nato il 21 novembre 1985, da venerdì scorso diventato il primo kamikaze della storia di Francia, il primo a farsi esplodere dando la morte a se stesso e ad altri 89 esseri umani che stavano ballando all’interno del Bataclan.
Chartres è una bella città della Val de Loire dominata dalla sua cattedrale. I cartelli di benvenuto uniscono la vocazione industriale alla cosmesi, che l’hanno resa celebre nel mondo, alla bandiera arcobaleno della Pace. Ismail era arrivato qui nel 2007, assunto da un agenzia di trasporti. Faceva consegne porta a porta di generi alimentari, prima che un vigile lo fermasse e gli chiedesse di esibire una patente che non aveva mai avuto. Da quel momento è diventato un disoccupato, andando a vivere in un alloggio sociale di proprietà del Comune, nel quartiere de La Madeleine che i locali chiamano «la nostra piccola Arabia», fatta di case dignitose, monofamiliari, ben lontane dei palazzacci della banlieue parigina dei fratelli Kouachi e di Ahmedi Koulibaly, gli autori della strage di Charlie Hebdo e dell’Hypercacher.
Ismail Mostefai era nato e cresciuto a Ivry-Courcouronnes, un paese a ottanta chilometri da Parigi pieno di uffici e centri direzionali con un municipio sormontato da una enorme foto di Nelson Mandela. Il padre è un nativo algerino, faceva l’operaio. Della madre si conosce la nazionalità portoghese e il fatto che con il matrimonio si era convertita a un Islam comunque moderato. Credenti, ma non praticanti, dicono di loro, anche oggi che sono due pensionati che si sono ritirati a vivere in una casetta a Romilly sur Seine, dove lui allena la squadra di calcio locale.
La lista dei precedenti penali di Ismail è lunga, ma non tale da avergli mai fatto passare un giorno in prigione. Piccoli reati, cominciati con un furto a 13 anni, quando il preside della scuola media Paul Gauguin di Courcouronnes chiamò a rapporto i suoi genitori per via di alcuni giacconi trafugati ai suoi compagni di classe. Seguirono un fermo per rissa, un altro per ubriachezza molesta, altri furti, altre risse.
Al liceo George Brassens si fa cacciare pochi mesi dopo l’inizio del primo anno di scuola. «Stupidate da giovani bulli di paese» taglia corto Stèphane Bodet, il sindaco di Courcouronnes. Il fanatismo ormai si compie nel chiuso di una stanza, su Internet, aggiunge. È la stessa frase che ripete anche Abdallah Ben Ali, presidente dell’associazione islamica Generazione 2000 davanti alla moschea di Lucè, al primo piano di un palazzo, quasi una abitazione privata. «Qui è tutto in chiaro da quando siamo nel 2012 arrivati noi». Prima però era diverso.
In quello stanzone disadorno passava «almeno due volte alla settimana» un predicatore salafita itinerante di nazionalità belga, che nei suoi discorsi inneggiava alla Jihad globale. Con buoni risultati, dicono ironicamente alla Gendarmerie di Chartres, perché dal 2013 a oggi sono 12 i residenti partiti alla volta della Siria. Il filo che collega Ismail agli altri membri del commando potrebbe essere questo, l’indottrinamento. Anche i tre fratelli Abdeslam, due dei quali con certezza hanno fatto parte del gruppo che ha sparato sulla gente ai tavoli dei ristoranti nell’undicesimo arrondissement, sono di nazionalità belga e passaporto francese. Sono nati a Bruxelles ma hanno tutti trascorso lunghi periodi in Francia. Ibrahim, il più anziano, che si è fatto saltare in aria davanti al Comptoir Voltaire, avrebbe anche lavorato come addetto agli ingressi della Torre Eiffel, secondo quanto riferiscono alcuni inquirenti. Salah, l’ottavo terrorista, avrebbe invece abitato per qualche tempo nella banlieue parigina. La presenza nel gruppo di Bilal Hadfi, cittadino belga del quale si erano perse le tracce dal 2013 dopo la sua partenza per la Siria realizza la profezia degli esperti di intelligence sulle «cellule ibride», che uniscono figli di Francia ai reduci di guerra dell’Isis. Lo scenario peggiore.
La parabola di Ismail sembra essere questa. La sua frequentazione con l’imam belga gli vale una schedatura con la S che è il marchio assegnato dai servizi segreti agli islamisti radicali. Ma il suo nome non viene mai associato a qualunque filiera di matrice terrorista. Intanto si è sposato, è nata una figlia. Lui passa il tempo chiuso in casa, a guardare film d’azione americani che noleggia in un negozio poco distante.
Ogni testimonianza parla di un uomo massiccio, sempre vestito con felpe e scarpe da tennis, che solo negli ultimi mesi si era fatto crescere una lunga barba. Nel 2012 porta la famiglia in Algeria, un viaggio alla ricerca delle proprie origini, così ha detto il padre agli inquirenti. Ripete il viaggio altre due volte. «Diceva di voler aprire una impresa di import-export» sostiene Ismail Snussi, suo vicino di casa.Nell’inverno del 2013 parte per la Siria con moglie e figlia. Ritorna da solo nella primavera del 2014. Le poche volte che si fa vedere in giro non saluta più nessuno. Giovedì 5 novembre un addetto al controllo delle utenze di gas e luce suona alla porta di casa sua per un controllo. Dall’interno una voce di uomo gli dice di andare via. Mancano otto giorni alla strage di Parigi.